Dietro l'udienza negata, divergenze sulla politica
estera
La Rice e il «no» del Papa a un colloquio
Il segretario di Stato americano
chiese un incontro in agosto.
La risposta:
«Benedetto XVI è in vacanza»
Massimo Franco
19 settembre
2007
L'ultima richiesta è arrivata
in estate. Il
segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, ha fatto sapere al Vaticano che aveva
assolutamente bisogno di incontrare Benedetto
XVI. Stava
per addentrarsi di nuovo nel ginepraio
mediorientale. E non le sarebbe
dispiaciuto presentarsi ai propri interlocutori
con le credenziali di un colloquio col
pontefice. Sperava di fissarlo agli
inizi d’agosto a Castelgandolfo, residenza estiva del Pontefice
appena tornato da Lorenzago, sulle
Dolomiti.Male è stato risposto che il
Papa era in vacanza. La Rice ha insistito.
Senza fortuna:
il protocollo vaticano è stato irremovibile. «Il Papa è in vacanza», ha continuato ad essere la risposta ufficiale. Da quanto si sa, la Rice è riuscita a discutere di Medio
Oriente e soprattutto di Libano in una
telefonata col cardinale Tarcisio Bertone. Il numero
due della Santa Sede era in
visita in America per la riunione
annuale dei Cavalieri di Colombo a Nashville,
nella prima decade di agosto.Mal’incontro mancato fra Benedetto XVI e la titolare della diplomazia statunitense ha finito per assumere un significato che forse va perfino
oltre le intenzioni vaticane. È stato valutato infatti come una sorta di
certificazione delle differenze di vedute
sulle iniziative dell’amministrazione di George
Bush in Medio Oriente; e di una frizione
strisciante sull’Iraq e sui rapporti
con l’Iran. La Santa Sede ritiene che gli
Stati Uniti rischino di sottovalutare
il problema
delle garanzie delle minoranze religiose nella nuova Costituzione irachena. E lo ha fatto presente al governo di Bagdad: si
è sentita rispondere che le minacce e le violenze contro i cristiani non sono maggiori di
quelle subìte da altre minoranze.
Si è rivolta anche agli americani:
la loro replica, però, è stata che le truppe
non riescono ad avere il pieno
controllo del territorio; e
dunque incontrano difficoltà a proteggere i non islamici.
Quanto all’Iran, si sa che il Vaticano
detesta i toni truculenti e antisemiti del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Ma vede come una sciagura
un’altra guerra preventiva. Tuttavia, i rapporti fra Usa e Santa Sede rimangono più che buoni.
C’è uno scambio continuo di notizie e valutazioni
sulle «zone calde», sebbene le strategie rimangano differenti. I temi etici continuano ad avvicinare Chiesa cattolica e Amministrazione Bush. Il problema è che la politica estera rimane una fonte
di controversie. E la Rice
non è un interlocutore fra i più
graditi. Quando sono cominciati i contatti per il suo incontro mancato col Papa, è stato spiegato che anche
Bush lo sollecitava. Il colloquio del 9 giugno scorso fra Benedetto
XVI e il presidente americano in Vaticano era andato bene. E in quella scia poteva
inserirsi il
segretario di Stato. In realtà,
per rendere possibile l’udienza con la Rice sul lago di Castelgandolfo,
sarebbe stata necessaria una forte volontà vaticana, che in realtà non c’era. In agosto il Pontefice
tende ad evitare colloqui con esponenti politici, tranne eccezioni. L’idea del Papa in vacanza è stata considerata «una buona scusa»
per evitare un appuntamento
ritenuto non indispensabile,
e magari foriero di confusione e malintesi davanti all’opinione pubblica internazionale; e in primo luogo nel Medio Oriente.
Ufficialmente nessuno lo
dice, ma sul «no» pesa probabilmente anche l’atteggiamento della
Rice nel 2003, quando era consigliere per la Sicurezza nazionale di Bush. Fu lei, alla vigilia del conflitto in Iraq, a dire brutalmente
che non capiva l’atteggiamento del Vaticano, contrario alla guerra; e a trattare con una freddezza al limite della scortesia
l’inviato di Giovanni Paolo
II, il cardinale Pio Laghi, mandato
a Washington il 2 marzo del
2003 nel tentativo disperato di scongiurare
l’intervento militare. È chiaro che quello sgarbo non è stato dimenticato.