Between Cold War and Thaw

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Stati Uniti e Russia non sono affatto condannati a scontrarsi. I loro interessi nazionali vitali non collidono. Anzi, per certi aspetti coincidono. Dunque, la parossistica tensione fra Mosca e Washington che negli ultimi mesi della presidenza Bush aveva fatto gridare alla ‘nuova guerra fredda’, è assolutamente evitabile. Di questo sia Obama sia i suoi partner russi, Putin e Medvedev, sono convinti. Ma di qui a ristabilire un clima di fiducia e di cooperazione a tutto campo, molto ne corre. Vediamo perché.

Dal punto di vista del Cremlino (e della Casa Bianca russa), l’essenziale è che gli Stati Uniti riconoscano alla Russia il rango di grande potenza e l’annesso diritto a una propria sfera di influenza. Questa dovrebbe comprendere tutto o quasi lo spazio ex sovietico, ma anche territori più lontani, in quello che una volta era chiamato Terzo Mondo. Implicita in questa rivendicazione è una nuova architettura di sicurezza paneuropea, che segua grosso modo il perimetro dell’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa (Osce).

La Nato è a un tempo obsoleta e pericolosa. Obsoleta perché strumento della Guerra Fredda. Pericolosa perché oggi i suoi partner dell’ex impero sovietico la interpretano come se fossimo ancora ai tempi dell’Urss, ossia come fattore di protezione rispetto all’aggressivo impero russo. Sicché non è pensabile estenderla a Ucraina e Georgia, che per Mosca appartengono, almeno in grande parte, alla propria sfera d’influenza. Di più, alcune regioni, in particolare la Crimea, sono di fatto russe.

Dunque per ristabilire la fiducia reciproca Mosca chiede a Washington di fermare l’espansione della Nato. E di rinunciare ad installare i sistemi anti-missili balistici ramificati in Polonia e in Cechia in funzione, secondo Putin e Medvedev, essenzialmente antirussa. In cambio, i leader russi offrono collaborazione in Afghanistan – soprattutto per quanto riguarda le vie di rifornimento logistico alle linee alleate – e nelle trattative con l’Iran, oltre alla disponibilità a discutere la sostanziale riduzione se non l’abolizione degli arsenali strategici.

Secondo Obama la Russia non è un nemico, anzi è un potenziale partner, ma non del tutto affidabile. Nel suo pragmatismo, i russi servono a disincagliare le truppe americane dai labirinti mediorientali, per salvare la faccia e soprattutto la sicurezza degli Stati Uniti in Afghanistan/Pakistan. Certo, la pseudodemocrazia russa preoccupa, così pure la scarsa trasparenza dei meccanismi decisionali. Ma con tutti i problemi che Obama deve affrontare sul piano domestico come su quello globale, aggiungere alla lunga lista anche un caso Russia non pare necessario.

Resta da vedere fino a che punto l’approccio pragmatico, basato sulla realistica valutazione degli interessi, possa affermarsi sia a Mosca che a Washington. Le scorie del passato continuano a intossicare le percezioni reciproche. E per gli Stati Uniti riaprire un dossier che si considerava esaurito con la vittoria nella Guerra Fredda significa un doloroso esercizio di revisione di sentenze già passate in giudicato. Ma le alternative alla cooperazione, per gli uni e per gli altri, sono sicuramente meno affascinanti e molto più costose, sotto ogni profilo.

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