The Most Dangerous Journalist in America

 

 

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Il giornalista più pericoloso d’America

Seymour Hersh ha fatto un altro scoop, l’ennesimo. Questa volta l’obiettivo è Obama

La definizione arriva da Richard Perle, uno dei più conosciuti neo-conservatori di Washington: “Seymour Hersh è la penna del giornalismo americano che più si avvicina a un terrorista”. Se si pensa alle vere e proprie bombe, agli scoop che in tanti anni di carriera è riuscito a realizzare, il paragone non è così ardito e ingeneroso. Questo figlio di immigrati ebrei dalla Lituania, nato a Chicago nel 1937, è uno degli ultimi veri esemplari di quella lunga schiera di giornalisti investigativi che ha scritto la storia della libertà di stampa nella patria delle libertà.

Il massacro di May Lai

L’ultimo suo colpo riguarda l’uccisione di Osama Bin Laden. La versione ufficiale fornita finora è falsa, ha scritto Hersh. Barack Obama ha raccontato bugie. Il capo di Al Qaeda è stato venduto dai servizi di sicurezza pachistani, che lo tenevano in custodia da tempo. La caccia non c’è mai stata. E’bastata una soffiata per prendersi lo scalpo del ricercato numero uno d’America.

La Casa Bianca ha smentito. Ma è difficile che Hersh sbagli. Tutta la sua carriera è stata all’insegna della rivelazione di scomodi segreti, di verità nascoste dal potere all’opinione pubblica. Fin dall’inizio questa è stata la sua missione. Che continua a portare avanti, senza sentire troppo il peso degli anni. Oggi come allora, il cronista sente le fonti giuste, raccoglie le confidenze, verifica le rivelazioni. E poi spara.

Il primo grande scoop è passato alla storia. Il 12 novembre del 1969, Seymour Hersh rivelò al mondo il massacro di Mai Lay, il villaggio in cui centinaia di civili vietnamiti disarmati vennero uccisi dai soldati americani nel marzo del 1968. L’orrore della guerra nel sud est asiatico veniva svelato in tutti i suoi più drammatici risvolti. compreso quello in cui gli assassini di inermi erano dei giovani militari di leva statunitensi catapultati a migliaia di distanza dalle loro case.

Il movimento per la pace, già forte, venne alimentato dall’ondata di sdegno che seguì a quella triste rivelazione; il massacro di Mai Lay fu uno dei macigni che contribuirono ad affondare il consenso per quella già contestata guerra.

Gli scoop sull’Iraq

Fu quell’inchiesta che permise a Seymour Hersh di vincere il Premio Pulitzer, il più ambito nel giornalismo mondiale. Gli anni’70, il cronista d’assalto, li passo tra il New York Times e il New Yorker, per poi approdare definitivamente in questo secondo porto: la rivista dell’intellighenzia liberal americana era la sua destinazione naturale. Il grande spazio che potevano avere i suoi lunghi racconti fu subito apprezzato dagli elettori.

Hersh era già diventato uno spauracchio per il potere. Negli anni’80 e ’90 tirò fuori altre piccole, grandi bombe. Ma fu con le guerra del primo decennio degli anni 2000 che il “vecchio” cacciatore di scoop ritrovò una sorta di seconda giovinezza. Nel mirino entrò l’amministrazione Bush. Con una serie di articoli pubblicati verso la fine del 2002 spiegò che i piani d’invasione dell’Iraq erano pronti già da tempi, raccontò il ruolo decisivo di Dick Cheney e dei neo-conservatori nella decisione di andare in guerra contro Saddam Hussein.

L’uomo di May Lai, 35 anni dopo, raccontò un altro scandalo americano, le torture nel carcere di Abu Ghraib. Fu lui a rivelare che la Cia aveva un programma segreto di interrogatori e maltrattamenti che aveva come obiettivo ottenere informazioni dalle persone detenute nella prigione nei pressi di Baghdad. Il programma era stato inaugurato a Guantanamo, e poi, dietro ordine dell’allora segretario alla difesa Donald Rumsfeld, esportato anche in Iraq.

Fu allora che Richard Perle apostrofò Seymour Hersh con l’appellattivo di “terrorista”. Gli articoli e i libri pubblicati in quel periodo testimoniano la sagacia di un giornalista investigativo capace ancora una volta di entrare nei meandri del potere e di testimoniarne gli abusi.

Gli attacchi a Obama

Da vero cronista, Hersh non ha mai risparmiato alcuna amministrazione. Presidenti democratici e repubblicani sono entrati nel suo mirino. Quindi dalla lista non poteva essere escluso Barack Obama. Il primo attacco, Hersh lo lanciò nel 2013 con un articolo pubblicato dal London Review of Books dopo che sia il New Yorker, sia il Washington Post si erano rifiutati di comprare l’articolo scritto dal cronista.

In questo lungo scritto, il premio Pulitzer affermava che l’accusa lanciata da Obama contro il regime di Bashar al Assad per l’uso di armi chimiche contro i civili non poteva essere provata perché secondo Hersh anche altre fazioni in guerra in Siria possedevano bombe al sarin. Seymour Hersh venne criticato perché aveva fatto ricorso solo a fonti anonime per raccontare la sua rivelazione. Fu questo il motivo per cui i giornali americani non vollero comprarla, temendo possibili contraccolpi.

Più o meno nello stesso periodo, il cronista disse anche che tutta la storia dell’eliminazione di Osama Bin Laden doveva essere ricostruita perché la versione della Casa Bianca era piena di bugie. Due anni dopo è arrivato l’articolo che svela la verità di Hersh sull’accaduto.

L’amministrazione ha smentito, ma il giornalista afferma di poter provare quello che ha scritto. Dopo cinquanta anni di onorata carriere contro il potere, il premio Pulitzer non teme nessuno. L’ultimo grande giornalista investigativo americano ha ancora qualche importante mistero da svelare prima di appendere la penna al chiodo.

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