It Is Time for Europe To Pick Up the Phone

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L’Europa risponda al telefono

Trump e i suoi devono sapere che l’Europa esiste e che ha intenzione, elezioni permettendo, di continuare a esistere

Se ha dedicato un solo pensiero all’Europa dopo il trionfo elettorale, Donald Trump deve essersi posto lo stesso interrogativo che in altri tempi si poneva Henry Kissinger: ma che numero di telefono ha, questa Europa? Certo, il prossimo presidente degli Stati Uniti ha parlato con la Cancelliera tedesca, ha parlato con il capo dell’Eliseo, ma da quella che si chiama Unione è giunta soltanto l’umorale lavata di testa del piccolo Juncker, nessuna proposta, nessuna idea su come impostare i rapporti futuri, soltanto un tenace silenzio. E non contano i contatti con Theresa May, perché lì siamo nel campo dei rapporti privilegiati tra anglosassoni e la Manica, con la Brexit, è diventata larghissima. Ma questa Europa che tace, si chiede forse Trump (e sarebbe già un successo) vuole o non vuole essere un attore sulla scena internazionale?

Concediamo subito all’Europa le attenuanti che merita, perché non è facile tendere la mano a chi proietta segnali disastrosi. Il primo politico europeo che The Donald ha accettato di incontrare è Nigel Farage, il più estremista e più fascistoide degli europopulisti. Capo dei consiglieri che dovrebbero moderare il Trump prima maniera è diventato Steve Bannon, un razzista e xenofobo che incarna bene la distanza tra i valori europei e quelli (provvisori, speriamo) della prossima Amministrazione Usa. Precedenti di estremismo e di razzismo anche per il nuovo ministro della Giustizia, per il capo della Cia e per il Consigliere per la sicurezza nazionale

Il disorientamento e i dubbi europei sul futuro dei rapporti transatlantici sono comprensibili. Ma l’unica cosa che l’Europa non può fare in questo momento decisivo è segnalarsi per il suo silenzio, abdicare attraverso la sua assenza. Perché Trump sarà comunque presidente degli Stati Uniti. Perché il futuro dell’Europa dipende in buona parte dalla possibilità di trovare accordi e compromessi con gli Stati Uniti, non esistendo le condizioni per cogliere l’occasione di un salto in avanti integrazionista. E anche perché la tempesta Trump offre a questa Europa notoriamente divisa una insperata piattaforma unitaria: tutti, da Parigi a Varsavia e da Berlino a Budapest, hanno interesse a salvare il rapporto con Washington, o per lo meno a chiarirlo. Più che mai alla vigilia di un anno elettorale che potrebbe impadronirsi del vento di Trump per battere le élite austriaca, italiana, olandese, francese, tedesca. Cioè per distruggere l’Europa.

Serve allora, come sempre davanti ai pericoli esterni, una iniziativa unitaria che fino a ieri sembrava impossibile e che oggi, con Trump vittorioso, è diventava indispensabile. Quando avrà superato le lotte di potere che assediano la Trump Tower, quando sarà pronto all’insediamento di gennaio, il nuovo presidente deve poter disporre di un memorandum europeo che gli ricordi le cose che capisce meglio (il volume degli scambi, per esempio) ma che rappresenti anche una proposta politica più elaborata dell’intesa leggermente paradossale raggiunta ieri con Obama a Berlino.

Il futuro della Nato? Non sorprende che Trump voglia far pagare di più gli europei per la loro sicurezza. Washington lo chiede da sempre, e gli europei, Italia compresa, devono prepararsi ad allargare i cordoni della borsa. Ma sarà il caso di far presente a Trump che l’impegno americano per l’Europa serve anche interessi strategici americani più ampi di quelli europei, e che la Nato rimane una polizza di assicurazione soprattutto per quei Paesi alleati che si trovano a contatto con lo strapotere militare della Russia. Il che non significa che il veloce ampliamento della Nato a est sia stato saggio, oppure che le decisioni dell’ultimo vertice di Varsavia abbiano tenuto in conto tutti gli scenari possibili sotto la spinta di un Obama più vicino al Pentagono che al Dipartimento di Stato, ma significa, questo sì, che una rinnovata intesa transatlantica deve partire da tre trampolini: burden sharing finanziario, onestà sugli interessi strategici, rassicurazione degli alleati.

Da questo non sarà difficile passare ai rapporti con Mosca. Perché se sarà stata fatta chiarezza sulla Nato diventerà più agevole riesaminare la ferita ucraina, di sicuro non sulla Crimea annessa da Mosca ma almeno sullo stato degli accordi di Minsk, su chi imbroglia le carte tra Putin e Poroshenko, sul significato delle sanzioni economiche, sulle contropartite che Mosca dovrà dare, in Ucraina come in Siria e altrove, alla nuova volontà di collaborazione che Trump ha già messo sul tavolo. Nessuno, nemmeno la Polonia o gli Stati Baltici, ha interesse a che questa offerta di collaborazione fallisca. La sicurezza può venire da lì molto più che da reggimenti di truppe Nato schierati ai confini con la Russia. Ma gli europei, insieme, devono sottolineare che Putin, in cambio del dialogo diretto con gli Usa cui ha sempre ambito, va vincolato a impegni precisi e credibili.

Il resto è in discesa, malgrado i dissensi che con franchezza vanno segnalati. Abbandonare l’accordo sul clima? Ammesso che sia possibile, sarebbe un errore. Lo stesso vale per l’accordo sul nucleare dell’Iran. E il fascino facile del protezionismo a noi non piace.

Trump e i suoi devono sapere che l’Europa esiste e che ha intenzione, elezioni permettendo, di continuare a esistere. Devono ricevere dall’Europa un segnale forte, più preciso di quello sui valori meritoriamente evocati da Angela Merkel (e a ruota da Hollande) nei messaggi di congratulazioni, ma anche più disponibile a parlare di interessi comuni. Devono sapere, Trump e i suoi, che la Ue è un insieme di nazioni nel quale i dissensi sono possibili (anche troppo) ma che non per questo siamo privi di un numero di telefono.

E se si tratta di prendere l’iniziativa, perché non può farlo l’Italia? Perché incombe il referendum? Perché Renzi (questa volta con piena ragione) vorrebbe punire in sede di bilancio quei soci europei che rifiutano la redistribuzione dei rifugiati? Attenzione, Trump ha alzato l’asticella del domani e non sarà tacendo che l’Europa si salverà. L’Italia potrebbe dimostrare di averlo compreso dando sin d’ora concretezza ai festeggiamenti per il sessantesimo dei trattati di Roma.

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