US-North Korea: Trump Will Lose the Cat-and-Mouse Game, Too

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Usa-Corea del Nord, anche Trump perderà nel gioco del gatto col topo

Prima di lui altri tre presidenti americani (Clinton, W Bush, Obama – due democratici e uno repubblicano) hanno tentato in vari modi di ‘addomesticare’ la famiglia Kim e di convincerla ad abbandonare il programma missilistico-nucleare. Ma Jong-un non cede a lusinghe e minacce: sa che la posta in palio è la sopravvivenza del regime

CON IL LANCIO del primo missile nel 1993 e il primo test di un ordigno nucleare nel 2006, sono ormai ventiquattro gli anni – e quattro i presidenti americani – che la famiglia dei dittatori ereditari nordcoreani Kim tormenta con il mistero velenoso della sua strategia. Nessun presidente – a cominciare da quell’Harry Truman che con il nonno del paffuto satrapo dovette combattere una guerra vera – è mai riuscito, agitando bastoni e carote, a trasformare il regime della Corea del Nord in un legittimo e responsabile cittadino della comunità internazionale.

Anche dimenticando Truman, che nel 1953 bloccò il piano per il bombardamento nucleare caldeggiato dal generalissimo MacArthur, hanno fallito Clinton, W Bush, Obama e ora Trump che aveva preso sul serio una dichiarazione di una portavoce di Kim Jong Un su possibili ‘dialoghi’. Questo mentre i militari di Pyongyang scaldavano i motori di un altro missile che ha raggiunto la distanza di 450 chilometri.

Da ventiquattro anni, il topo gioca con il gatto, in una spregidicata triangolazione fra Cina, Usa e la Russia post sovietica nella quale i ‘gattoni’ si accusano l’uno con l’altro, dimenticando un elemento chiave: il programma missilistico-nucleare della famiglia Kim comincia nel periodo immediatamente successivo alla decomposizione dell’Unione Sovietica, nel 1991, ed è visto da predecessori e successori sul trono di sangue e miseria del Nord come l’unica credibile garanzia di sopravvivenza.

Clinton offrì riso in cambio di rinuncia e non servì a nulla. Bush tentò di fare il duro, inserendo minacciosamente la Corea del Nord nel famigerato ‘Asse del Male’ e Pyongyang non battè ciglio. Obama scelse la pazienza e l’attesa, cercando di lavorare sulla Cina e il riarmo continuò. Trump, dopo l’inutile tintinnar di sciabole, ha provato la tattica a lui cara del piazzista, lusingando il ‘cliente’ con parole di rispetto e il cliente ha messo sul tavolo l’ennesima provocazione, umiliando lui e tutti coloro che già gridavano al miracolo trumpista. Ma anche Trump, nella propria irruente incompetenza, sa che nessun americano, neppure coloro che ancora lo sostengono, è disposto a morire per la Corea e i suoi bluff sono evidenti.

Il fallimento di quattro presidenti, due repubblicani e due democratici, nel tentativo di addomesticare la Corea del Nord si spiega se si ricorda che i Kim non hanno semplicemente alcun interesse a mollare quelle armi sulla quali si regge la loro satrapia. A questo si aggiungono le condizioni generali della popolazione, che non ha alcuno strumento per esprimere la propria disperazione né per scoprire, attraverso i media antichi e nuovi, la realtà alla quale è condannata.

Non c’è nulla che gli Usa possano offrire a Kim in cambio della paura che Pyongyang sa esercitare sui ‘gattoni’ che invano lo rincorrono, perché ‘normalizzare’ i suoi rapporti con il resto del modo, migliorare le condizioni umane, economiche e civili della nazione, oltre l’angosciosa vetrina della capitale mostrata ai consenzienti visitatori stranieri che si bevono la propaganda, significherebbe la sua fine e il crollo del regime.

Anche con Trump, come con i suoi predecessori, Kim continuerà lo stesso gioco, perché la posta in palio per lui, e per la gang di cortigiani che prosperano sulla paura e la miseria, è la sopravvivenza. E Kim sarà forse pazzo, ma non è stupido.

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