Donald Trump and the Media: The American Double Labyrinth

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Donald Trump e i media, il doppio labirinto Usa

Nonostante sia arrivato alla Casa Bianca, il presidente non ha cambiato i suoi atteggiamenti da bullo, ma continua a restare in sella

Prima l’illusione: Donald Trump alla Casa Bianca avrebbe smesso di comportarsi da bullo digitale per assumere un atteggiamento più presidenziale. Quando, dopo l’insediamento, il nuovo commander-in-chief ha continuato a menare fendenti contro la stampa e a distillare affermazioni false, i giornalisti si sono convinti che prima o poi il leader si sarebbe autoaffondato con le sue reazioni impulsive, la mancanza di autocontrollo, gli insulti.

L’ipersensibilità di Trump nei confronti della stampa, la sua ossessione per reti tv come Cnn e Msnbc e i quotidiani «liberal», dal New York Times al Washington Post, davano ai giornalisti mainstream la sensazione di aver riconquistato il centro del ring dopo lo smarrimento (e l’autocritica) seguita all’elezione del presidente miliardario. Ma Trump continua ad andare avanti a testa bassa coi suoi attacchi sempre più grotteschi ed estremi contro i «media» che a loro volta reagiscono con lo sdegno e la pratica del fact checking, la verifica dei fatti, che, giorno dopo giorno, si rivelano armi sempre più spuntate, almeno davanti all’elettorato conservatore.

Con la pesantezza e anche la volgarità dei suoi attacchi — dagli insulti alle donne a sortite che possono essere interpretate da qualcuno come un’incitazione alla violenza contro i giornalisti — Trump fa perdere prestigio all’istituzione presidenziale, dando la sensazione di correre a perdifiato in un tunnel buio. Ma ora anche la stampa comincia a temere di essere finita in una galleria senza uscita.

E deve chiedersi se non abbia ragione il guru del marketing Seth Godin secondo il quale, in qualunque settore uno opera, vende «non per quello che è capace di fare ma per la sua capacità di sedurre con la storia che racconta».

Fin qui Trump ha raccontato soprattutto la storia di una grande congiura della stampa contro di lui: dei 121 tweet sicuramente scritti di suo pugno dal presidente tra quelli diffusi a giugno, solo 3 toccano problemi politici reali, tutti gli altri sono attacchi contro i media. Una situazione paradossale, senza precedenti nella storia americana, che lascia di sasso le cancellerie di tutto il mondo, ma anche i media: ogni mattina le reti tv mettono in piedi lo spettacolo dell’indignazione. Ogni giorno dicono che è stato toccato il fondo salvo scoprire il giorno dopo che Trump non si fa problemi a scendere ancora più in basso con accuse volgari e affermazioni non vere.

Poi anche i media incappano nei loro errori: il servizio sulla connection russa di un assistente di Trump durante la transizione che la Cnn ha dovuto ritirare, mettendo alla porta i tre autori e i divi televisivi che usano metafore sanguinose contro il presidente, dandogli l’opportunità di replicare sullo stesso terreno con ancor più durezza, incurante del fatto che le parole del capo della superpotenza hanno un peso molto maggiore. I media dimostrano la falsità di molte affermazioni del leader, Maureen Dowd sul New York Times afferma che l’America è governata da un cronista della pagina dei pettegolezzi, ma Trump si beffa dei critici accusando i giornali di essere loro la vera fabbriche delle falsità, mentre dà quasi ragione alla Dowd quando fa capire che può usare il National Enquirer, un giornale scandalistico, come manganello per punire gli avversari.

L’indignazione di una parte dell’opinione pubblica contro Trump sale e con essa si moltiplicano gli ascolti delle reti tv e gli abbonamenti alla stampa liberal: «The Donald» sembra sempre sul punto di precipitare all’inferno. Ma questa è solo una parte della storia. L’altra la si è vista sabato quando, davanti a una vasta platea di veterani e attivisti di organizzazioni religiose, Trump, anziché parlare di patria e fede, ha attaccato la Cnn definendo il suo «giornalismo spazzatura». Parole accolte da una vera ovazione della folla. E ancora: Trump, sepolto dalle critiche democratiche ma anche repubblicane dopo aver attaccato la conduttrice della Msnbc Mika Brzezinski tirando in ballo la sua plastica facciale, non solo non fa marcia indietro, ma rivendica il suo stile mediatico: «Uso le reti sociali in modo modernamente presidenziale». Insomma, c’è del metodo nel bullismo di Trump: il suo stile piace a chi lo ha votato, mentre gli avversari non hanno strumenti per detronizzarlo. «The Donald» alimenta la narrativa della stampa che ha congiurato contro di lui («non mi volevano alla Casa Bianca, ma ho vinto io e loro non possono farci niente») perché si sente a suo agio e dà il meglio di sé quando mena pugni su un ring. E, probabilmente, anche perché per ora deve giocare con storie e suggestioni non avendo fatti concreti da offrire agli americani: la sua controriforma sanitaria è ferma al Senato, mentre della riforma fiscale della quale si è tanto parlato deve essere ancora scritta la prima pagina.

Ma, intanto, lui resta in sella. Gli unici a poterlo disarcionare sono i parlamentari del suo partito: i primi ad essere allarmati e spaventati per le mosse di Trump che desertifica il terreno politico dei repubblicani. Che però, deboli e traballanti essi stessi davanti all’elettorato di destra, non hanno il coraggio di sfidarlo in campo aperto.

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