The CIA behind the Attack in Syria

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La Cia dietro l’attacco in Siria

Fu la comunità d’intelligence a convincere il presidente Usa Donald Trump a bombardare, con 59 missili Tomahawk, la base siriana di Al Shayrat. L’intelligence, lo scorso aprile, aveva assicurato al tycoon che il responsabile dell’attacco chimico di Khan Sheikhoun, in cui morirono più di 80 civili, fosse l’esercito siriano fedele a Bashar al-Assad. Non un’azione in solitaria del presidente americano come spesso è stato scritto, dunque, ma un attacco contro la Siria promosso in, prima istanza, dalla CIA. Lo ha fatto intendere il direttore dell’agenzia, Mike Pompeo, in un discorso pronunciato lo scorso 11 luglio all’appuntamento annuale promosso dall’INSA (Intelligence and National Security Alliance) – che riunisce tutte le agenzie delle comunità d’ìntelligence e sicurezza degli Stati Uniti.

Le parole di Mike Pompeo

«Quel giorno Trump voleva parlare con me di alcune immagini terribili che venivano dalla Siria. Sono sicuro che molti di voi hanno visto le scene di civili innocenti agonizzanti, apparentemente vittime di un attacco di armi chimiche – ha raccontato Pompeo alla platea – Il presidente aveva un messaggio diretto per me: scoprire cosa fosse successo. Così ho immediatamente radunato un gruppo di esperti delle varie agenzie. Abbiamo iniziato a raccogliere le prove, lavorando a stretto contatto con i partner di tutta la comunità d’intelligence. Il giorno seguente il presidente ha radunato il suo gabinetto. Mente ci stavamo sedendo, mi chiese cosa avevamo scoperto. Gli ho confermato che un’arma chimica era stata effettivamente impiegata nell’attacco e che era stata utilizzata dal regime siriano».

Non è stato uno show di Trump

Le parole del direttore della CIA suggeriscono che il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha basato le sue scelte successive sulla ricostruzione fornita dalla stessa agenzia: «Il Presidente mi interruppe un momento e mi chiese: Pompeo, sei sicuro di quello che stai dicendo? Devo ammettere che la domanda mi tolse il fiato. Ma sapevo quanto le nostre prove fossero solide e, guardando negli occhi il Presidente, gli dissi che avevamo un’elevata fiducia della nostra valutazione. Il Presidente non si è più guardato indietro. Basandosi sul nostro giudizio, ha deciso di lanciare un attacco contro l’aeroporto da cui era partito l’attacco chimico».

Naturalmente la responsabilità dell’attacco contro la base siriana ricade in’ultima istanza su Trump, ma questo retroscena smentisce le tesi secondo cui fu una iniziativa solitaria del tycoon – da uomo dello spettacolo quale è. Nel frattempo svariati analisti e osservatori hanno messo fortemente in discussione la narrazione fornita dalla stessa intelligence Usa. Fu davvero Assad a impiegare armi chimiche in quell’occasione? Secondo esperti ed analisti andò diversamente.

Non fu Assad a usare armi chimiche

Il premio Pulitzer Seymour Hersh, in un articolo pubblicato il 25 giugno sul giornale tedesco die Welt, accusava la Casa Bianca di aver attaccato in maniera pretestuosa la Siria, senza fornire alcuna prova. Hersh, in base a informazioni provenienti dalla «comunità dell’intelligence» Usa, ha ricostruito quanto avvenne allora, concludendo che non c’era alcuna prova di un attacco chimico e che la reazione Usa fu senza fondamento.

«Non è stato un attacco chimico. E’ una menzogna. Se così fosse stato, tutti gli addetti al trasferimento e caricamento delle armi avrebbero indossato tute anti-radiazioni. Senza quelle, non avrebbero avuto possibilità di sopravvivenza in caso di guasti. Il sarin è dotato di additivi per aumentarne la tossicità. Ogni goccia è progettata per massimizzare i danni: è invisibile e inodore, e provoca la morte in pochi minuti, senza creare nubi. Perché produrre un’arma chimica dalla quale le persone possono fuggire?». – sostiene il Premio Pulitzer nella sua inchiesta. D’altro canto, le poche prove presentate contro Assad da aprile ad oggi sono apparse alquanto deboli e poco convincenti.

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