Donald’s Humiliation

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L’umiliazione di Donald

Nella vicenda di missili c’è un’incognita che nessuno può valutare all’orizzonte di una possibile guerra guerreggiata: è il “Fattore T”.

Oltre tutti i calcoli diplomatici, oltre le valutazioni strategiche, gli esperimenti nucleari, i lanci dimostrativi di missili, che ora anche la Corea del Sud spara per non mostrarsi intimidita, c’è un’incognita che nessuno può valutare all’orizzonte di una possibile guerra guerreggiata: è il “Fattore T”. Sono i sentimenti, le emozioni che il presidente Donald Trump deve provare di fronte al comportamento di Kim Jong-un che ormai apertamente si fa beffe di lui e lo ridicolizza.

Per quanto tempo uno uomo come “The Donald” che misura il mondo e le persone attorno a lui con il metro della propria vanità e della sconfinata autostima può continuare ad accettare che un dittatorello del Terzo Mondo puntellato e armato da complici vicini e lontani lo sfotta pubblicamente, ignorando minacce, sfuriate e crisi di tweet?

Trump, lo sappiamo, tende a prendere tutto quello che avviene, tutti coloro che non si inchinano a lui, come affronto personale. Quando il Segretario alla Giustizia Sessions si è, correttamente, chiamato fuori dalle indagini sui possiibli rapporti politici e finanziari con la Russia avendo lui stesso la coda di paglia, il Presidente lo ha coperto di insulti, lo ha investito di contumelie. In privato gli ha dato dell’ “idiota” e in pubblbico lo ha coperto di tweet imperniati attorno all’aggettivo “weak”, debbole, L’insulto più sanguinoso che The Donald possa lanciare.

Ed è quello che Kim sta facendo a lui, lo sta dipingendo come “weak”, come un debole che abbaia senza mordere. I suoi esperimenti e lo spreco di missili balistici lanciati nell’Oceano Pacifico sono provocazioni che adopera nella sua viltà, coperta dalla Cina che gioca alla triangolazione per umiliare gli Usa fingendo di tenere sotto controllo la Corea del Nord, per dimostrare, mezzo secolo dopo il Vietnam, che l’America resta quella “tigre di carta” narrata da Mao Zedong.

Kim Jong-un punta tutto sulla impotenza americana, sulla impossibilità di lanciare un’azione militare preventiva convinto di poter continuare a ridere di Trump senza pagare pegno, altro che qualche escalation verbale e qualche raffica di innocui tweet.

Ma ad ogni missile che parte, a ogni bomba che esplode nel sottosuolo coreano, un altro pezzo dell’intonaco si stacca dal muro della narrazione trumpista, dal mito della sua implacabile durezza. Fino a quano potrà accettarlo, il Presidente americano, prima che Kim riesca a dimostrare defitivamente che nulla potrà essere fatto per fermarlo? Per lui, per Kim, questo è “business”, come si dice nel gergo della Cosa Nostra americana. Per Trump sta diventando “personale”. Non è più l’America ha essere irrisa dalla Nord Corea È lui.

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