Trump Prefers Verbal Punches

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Trump preferisce i pugni dialettici

A quanto pare per il presidente Usa è meglio alimentare «culture wars» piuttosto che governare veramente

«L’indebolimento della base manifatturiera degli Stati Uniti fa aumentare gli aborti, le violenze domestiche, i divorzi. Fa crescere l’uso delle droghe, il tasso di mortalità e anche l’infertilità». Quando si sono ritrovati tra le mani un documento senza numeri e con questi argomenti presentato in una riunione interna da Peter Navarro, un economista molto ideologico e fuori dagli schemi, ostile, come Donald Trump, al free trade, gli altri esponenti della Casa Bianca che invece sono favorevoli al libero scambio e ai trattati commerciali, sono rimasti senza fiato. Per disinnescare queste pagine «protezioniste» ma anche ridicole hanno deciso di farle trapelare sulla stampa.

La loro pubblicazione non ha, però, provocato l’attesa ondata d’indignazione. Solo la conferma che, per Trump, le convinzioni ideologiche prevalgono sui fatti (travisati da Navarro anche se è vero che la deindustrializzazione ha fatto aumentare i suicidi tra i bianchi a basso reddito) e sulla necessità di governare il Paese in modo efficiente e razionale, dialogando con gli altri poteri dello Stato e col resto del mondo.Una realtà che emerge sempre più evidente dalle mosse recenti del presidente che, anziché concentrarsi sulla sua agenda legislativa (sanità e riforma delle tasse), l’aiuto alle regioni devastate dagli uragani e il lavoro diplomatico per isolare i focolai di tensione, a cominciare dalla Corea del Nord, ha costruito a tavolino distrazioni di ogni tipo: l’attacco ai giocatori di football che si inginocchiano durante l’inno, scontri feroci con la stampa e ora le dispute sugli onori resi ai militari caduti in missione. E quando ha parlato di Corea e del suo dittatore lo ha fatto in modo tutt’altro che presidenziale, preferendo un linguaggio minaccioso da «fronte del porto»: quello che piace al suo zoccolo duro elettorale. Insomma, meglio tirare in continuazione pugni dialettici alimentando le culture wars tanto apprezzate dalla destra integralista, che governare: un esercizio che a Trump deve apparire noioso e privo di appeal, come quello di un amministratore di condominio. Un’analisi ormai condivisa da molti esperti, anche conservatori e confermata perfino dallo storico Walter Russell Mead che in un saggio pubblicato da «Foreign Affairs» ha paragonato Trump ad Andrew Jackson: un presidente che, convinto che l’establishment economico fosse diventato troppo cosmopolita, cercò soprattutto di rilanciare i valori patriottici e di ridefinire l’identità culturale degli Usa.

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