The Federal Reserve and Navigating by the Stars

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La Federal Reserve e la rotta delle stelle

La crescita dell’economia mondiale resta robusta, sostenuta ora anche da Stati Uniti ed Europa, che più avevano sofferto per la crisi di dieci anni fa. Gli Usa vivono una delle fasi di espansione più lunghe della propria storia. Wall Street è ai massimi storici, la disoccupazione al livello più basso degli ultimi trent’anni. Il reddito per abitante dell’Unione europea cresce a ritmi non dissimili da quelli statunitensi, seppure con tassi di disoccupazione maggiori.

In questo quadro, un tradizionale manuale di macroeconomia contempla l’aumento dei tassi d’interesse a breve sia per prevenire un’accelerazione dell’inflazione sia per limitare l’euforia dei mercati finanziari sia, infine, per creare spazi di manovra per gestire l’inevitabile rallentamento ciclico di redditi, investimenti e occupazione. I banchieri centrali restano, invece, cauti. Le ragioni della cautela sono state, in parte, candidamente spiegate da Jerome Powell, nel suo primo intervento quale presidente della banca centrale americana, durante l’appuntamento di banchieri centrali ed economisti promosso ogni anno dalla Banca Federale di Kansas City a Jackson Hole, nelle montagne del Wyoming.

Powell si è spiegato con una metafora nautica: i banchieri centrali hanno sempre navigato con le stelle (inflazione, disoccupazione e reddito potenziale) facendosi guidare dal loro movimento relativo, cercando di tenere la rotta il più possibile in acque calme («neutrali») nelle quali l’inflazione non accelera e la disoccupazione non sale sopra livelli indesiderabili. Ma, dice Powell, le stelle non sono più nella posizione sinora nota ai naviganti: per tracciare la nuova rotta bisogna ritrovarle. Fuori metafora, da anni l’inflazione continua a sorprendere per la sua modesta dinamica, nonostante un mercato del lavoro nel quale «quasi chiunque desideri un’occupazione riesce a trovarla».

Le ragioni della stabilità dei prezzi in condizioni che, anni fa, li avrebbero spinti rapidamente verso l’alto, non sono ancora chiare. A Jackson Hole sono state indicate soprattutto nella nuova struttura dell’economia: Kreuger, economista di Princeton, le attribuisce al ridotto potere contrattuale dei lavoratori, Rajan (Chicago) alla concentrazione dei “buoni salari” in pochi settori e imprese. Altri pensano che le statistiche ufficiali sottostimino la crescita della produttività dovuta alle nuove tecnologie. Nel dubbio sulla posizione esatta delle stelle, la banca centrale statunitense, come molte altre, segue un principio di buon senso: «Quando sei incerto circa gli effetti delle tue azioni – dice Powell – devi muoverti con cautela». L’affermazione è stata salutata da un nuovo record a Wall Street. La strada sinora tracciata di lento aumento dei tassi, sarà percorsa, passo dopo passo, con grande attenzione a evitare sia il rischio di troncare senza necessità l’espansione del reddito sia quello di produrre un «surriscaldamento destabilizzante».

Il presidente della banca centrale statunitense riafferma, nei fatti, l’indipendenza della banca centrale rispetto a un presidente che aveva twittato di attendersi un maggiore sostegno alle proprie politiche. Powell si è limitato alle stelle della teoria economica, ma altri forti motivi di incertezza pesano sulle scelte della Fed e delle altre maggiori banche centrali, consigliando enorme cautela. La robusta crescita dell’economia mondiale è oggi a rischio per motivi politici piuttosto che economici. Se la politica doganale di Trump portasse a una vera guerra commerciale, aumenterebbero i prezzi al consumo, diminuirebbero profitti e crescita del reddito. La sfida di Erdogan alla razionalità economica, una possibile nuova fase d’instabilità dell’Unione europea, la difficile gestione del debito pubblico italiano accrescono l’incertezza.

La ricerca economica ha fatto non pochi progressi negli ultimi dieci anni, soprattutto grazie alla disponibilità di enormi quantità di dati su lavoratori, consumatori e imprese. Le banche centrali la promuovono e la usano per le proprie decisioni. Aiuta a decifrare la nuova struttura dell’economia ma non basta, sinora e nel prevedibile futuro, a dare, come alcuni avevano creduto fino al 2007, una base “scientifica” alla politica monetaria. Come negli incerti anni Trenta, quella del banchiere centrale resta un’arte, non una scienza, un’arte che produsse quel «whatever it takes», simbolo delle politiche eterodosse, mai prima tentate, con le quali è stata gestita la Grande Recessione.

Di fronte a una nuova emergenza, anche Powell si è detto pronto a fare «tutto ciò che è necessario». Ciò deve rassicuraci, pur nella consapevolezza che sarebbe ancora una volta qualcosa di diverso dal passato, perché inevitabilmente diverse sarebbero le circostanze e che l’esito potrebbe non essere altrettanto fortunato.

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