Russiagate: Manafort Cooperation Shakes Trump

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Russiagate, Manafort collabora.Trump trema

L’ex capo della campagna elettorale pronto a parlare con Mueller, il grande accusatore del presidente

Paul Manafort si è arreso. L’ex manager della campagna presidenziale di Donald Trump ha accettato di collaborare col procuratore Mueller, per evitare il secondo processo che lo avrebbe condannato a passare il resto dei suoi giorni in prigione. In cambio, ha accettato di rivelare tutto quello che sa. La Casa Bianca ha risposto che non è un problema, perché il presidente non ha fatto nulla di male. Se le cose stanno così, però, lo sa solo Mueller. Di sicuro c’è che se la collusione con la Russia per le elezioni del 2016 è avvenuta, l’ex manager potrà provarlo.

Manafort era stato il capo della campagna fino ad agosto, assunto per l’abilità nel gestire le convention. Era stato licenziato quando il New York Times aveva rivelato che per anni era stato al servizio di Mosca, curando i suoi interessi in Ucraina. In cambio aveva ricevuto milioni di dollari, nascosti al fisco. Mueller lo ha incriminato per questi reati, e l’ex manager era già stato condannato durante un processo in Virginia per frode bancaria e fiscale. La sentenza non è ancora stata pronunciata, ma potrebbe mandarlo in prigione per dieci anni. Il 24 settembre era in programma il secondo giudizio, stavolta per ostruzione della giustizia e riciclaggio, che avrebbe sancito il carcere a vita. Manafort finora aveva rifiutato di cooperare, sperando nel perdono presidenziale di Trump, che aveva elogiato la sua fedeltà. Ora però si è convinto di non avere una via d’uscita, e quindi ha accettato di collaborare. «Lo ha fatto – ha spiegato il suo avvocato – per proteggere la sua famiglia e garantire che abbia una buona vita».

La portavoce della Casa Bianca, Sanders, ha commentato così: «Ciò non ha assolutamente nulla a che vedere col presidente o la sua campagna vittoriosa del 2016». I difensori di Trump, come Rudy Giuliani, sottolineano che l’incriminazione di Manafort non riguarda la collusione con la Russia, perché non c’è stata collusione. Questo però resta da vedere. Manafort conosce Donald da circa trent’anni, abitava nella Trump Tower di Manhattan, ed era socio del suo consigliere Roger Stone vicino a Wikileaks. Aveva lavorato per il Cremlino in Ucraina, allo scopo di aiutare il candidato presidenziale Yanukovich contro Julia Timoshenko, ed era nel libro paga di Oleg Deripaska, oligarca vicino a Putin, a cui aveva offerto informative riservate sulla campagna presidenziale per estinguere un debito.

L’incontro decisivo

Questi rapporti glieli curava Konstantin Kilimnik, legato all’intelligence russa, e Paul era presente all’incontro del giugno 2016 nella Trump Tower con emissari di Mosca, che offrivano informazioni compromettenti su Hillary. Una volta diventato manager, aveva cambiato la piattaforma del partito per favorire gli interessi di Putin in Ucraina. In altre parole aveva tanto le motivazioni, quanto le connessioni, per gestire la collusione. Con la sua collaborazione, unita quella dell’ex avvocato Cohen, il commercialista Weisselberg, e il generale Flynn, Mueller ha ora in mano tutte le pedine principali, a parte figli e moglie. Se qualcosa di illegale è avvenuto, lo scoprirà. Altrimenti Trump si salverà.

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