Tariff War: Beijing and Washington Resume Talks To Avoid an Escalation

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Guerra dei dazi: Pechino e Washington tornano a trattare per evitare l’escalation

I due belligeranti nella guerra dei dazi e per la supremazia tecnologica tornano al tavolo del negoziato: le delegazioni di Stati Uniti e Cina sono pronte a incontrarsi lunedì e martedì a Pechino per provare, una volta di più, a disinnescare la bomba che minaccia l’economia mondiale. Le due superpotenze si sono già scambiate raffiche di dazi su centinaia di miliardi di dollari di esportazioni e si presentano all’appuntamento con pressioni economiche pari solo alla necessità di non capitolare alle pretese del contendente, perdendo la faccia.

L’incontro di lunedì non sarà tra i massimi rappresentanti dei rispettivi Governi, ma sarà osservato con grande attenzione dai mercati. Il nutrito team statunitense comprende sottosegretari e alti funzionari di ministeri chiave come Commercio, Agricoltura, Energia e Tesoro e sarà guidato dal vice-rappresentante per il Commercio della Casa Bianca, Jeffrey Gerrish. Il suo capo è il falco Robert Lighthizer, fautore della linea dura dell’amministrazione Trump.

La seconda tappa del nuovo round di negoziati è già in programma a Washington tra una decina di giorni (se lunedì non ci saranno imprevisti). La squadra cinese sarebbe capitanata dal vice premier Liu He. In caso di progressi, si salirebbe di livello e al tavolo arriverebbe lo stesso Lighthizer – responsabile ultimo della trattativa – affiancato dal segretario al Tesoro, Steven Mnuchin.

L’obiettivo è fermare il conto alla rovescia che presto metterà le prime due economie del mondo di fronte alla necessità di disinnescare un nuovo D-Day. A fine marzo scade infatti la tregua raggiunta dai presidenti Donald Trump e Xi Jinping il 1° dicembre, che ha congelato per 90 giorni gli extra-dazi minacciati dagli Usa su 200 miliardi di dollari di prodotti made in China e che erano in programma per il 1° gennaio. Congelate le automatiche ritorsioni, Pechino ha abbassato i balzelli già imposti per rappresaglia sulle auto Usa e ha promesso maggiori acquisti di soia americana.

Più ci si avvicinerà alla scadenza senza fare passi avanti, più cresceranno le aspettative di escalation, più pesanti saranno i danni all’economia reale generati da un clima di incertezza che frena gli investimenti: se ne è già avuto un assaggio nella flessione dell’attività manifatturiera registrata dagli indici Pmi di dicembre in Usa, Europa e Asia.

Come sovente alla vigilia di negoziati chiave, Trump si mostra fiducioso. I bruschi cali di Wall Street, che lo hanno già indotto alla tregua di fine 2018, lo spingono ora nella direzione di un accordo. Il presidente dovrà però fare i conti con l’effettiva volontà di Pechino di cedere di fronte alle sue richieste: ridurre il surplus commerciale nei confronti degli Usa, aprire il proprio mercato, cancellare le pratiche che forzano le aziende Usa a cedere tecnologia ai partner cinesi.

Nonostante due anni di politiche «America First» e i dazi già varati, il deficit commerciale Usa nei confronti della Cina continua a lievitare: nei primi dieci mesi del 2018 aveva già superato quota 344 miliardi di dollari, in crescita dell’11% rispetto allo stesso periodo del 2017. Il Peterson Institute for International Economics stima per l’intero 2018 un rosso di 413 miliardi di dollari, contro i 376 del 2017 (solo scambio di beni).

La vera partita si gioca però per l’egemonia tecnologica e dell’economia del futuro, che gli Stati Uniti temono di perdere. La Casa Bianca si è spinta fino a chiedere al presidente Xi di rinunciare alle proprie ambizioni, formulate nel piano Made in China 2025, lanciato nel 2015 per portare l’industria cinese all’avanguardia nei settori strategici più avanzati.

Il clima preparatorio in vista dell’incontro di lunedì non è dei migliori. Sul tavolo dei negoziati aleggerà il caso della Cfo di Huawei, Meng Wanzhou, arrestata in Canada a dicembre su richiesta delle autorità statunitensi con l’accusa di aver violato l’embargo contro l’Iran. Meng, figlia del fondatore del colosso delle Tlc già finito nel mirino di Washington (come la connazionale Zte), rischia l’estradizione negli Usa. E peserà anche l’ennesimo schiaffo di Washington, che appena due giorni fa ha messo gli americani in guardia contro i pericoli di viaggiare in Cina.

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