Now Zuckerberg Is the One Asking for Rules

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Ora è Zuckerberg a chiedere regole

Il fondatore di Facebook invita la politica a intervenire fissando paletti, ma la politica non sa cosa rispondere

Mark Zuckerberg cambia passo: sotto attacco da due anni per una serie infinita di errori, violazioni della privacy e per l’incapacità di filtrare le fake newsdiffuse attraverso le sue piattaforme che hanno alterato campagne elettorali in mezzo mondo e alimentato odi etnici, il fondatore di Facebook smette di scusarsi promettendo di far meglio in futuro e invita la politica a intervenire fissando paletti. Non è la prima volta: Zuckerberg ha già detto che le sue aziende sono pronte a uniformarsi a un «ragionevole» sistema di regole federali. Ma l’altra sera, durante un dibattito dell’Aspen Ideas Festival, è andato oltre ammettendo di non essere in grado di contrastare attacchi come quelli orchestrati dagli hacker russi pilotati dal Cremlino e aprendo un nuovo capitolo, quello dei deep fake: i video falsificati con tecniche sofisticate per far dire e fare a personaggi noti cose che non hanno mai detto o fatto. Una categoria, avverte Zuckerberg, totalmente diversa dalla semplice diffusione di notizie false: richiede, quindi, la predisposizione di sistemi di difesa diversi.

Il capo di Facebook ha anche evitato di scusarsi per la diffusione, a maggio, di un video nel quale i movimenti di Nancy Pelosi erano stati rallentati in modo da farla apparire ubriaca. Attaccato da progressisti e conservatori per errori e violazioni, ma anche per l’eliminazione di post giudicati razzisti o comunque inaccettabili che la destra più radicale percepisce come una censura della sua attività, Zuckerberg ributta la palla nel campo della politica. La quale, sollecitata per la prima volta apertamente a fare la sua parte, non sa che pesci prendere: così il ruolo di re nudo passa da Mark al Congresso dove non esistono maggioranze e nemmeno proposte legislative efficaci da mettere in discussione. Alla Casa Bianca, intanto, Trump sguaina per la prima volta la sciabola minacciando di aprire procedimenti contro Google e Facebook: non per tutelare meglio i cittadini e riattivare le regole antitrust fin qui inspiegabilmente accantonate, ma per punire due aziende da lui accusate di avere simpatie democratiche. Col Congresso paralizzato dal muro contro muro preelettorale (e coi democratici divisi tra chi propone regole limitate e una sinistra radicale decisa, invece, a spezzare i monopoli digitali), il rischio è che il futuro impatto politico e sociale della tecnologia venga deciso soprattutto dai colpi di mano del presidente.

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