The Focus Shifts to Charlotte, All Set for the Obama Show

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LA CORSA ALLA CASA BIANCA

L’attenzione si sposta a Charlotte tutto pronto per l’Obama show

di ANGELO AQUARO

La poltrona occupata alla Casa Bianca è la migliore immagine che Barack Obama ha trovato da opporre alla gag di Clint Eastwood, che parlava al presidente immaginario su una sedia vuota. Ma c’è un piccolo particolare: quella poltrona è ripresa di spalle.

Con quale faccia il presidente messo sotto accusa alla Convention repubblicana si ripresenterà alla sua America? Tranquilli: da martedì si ricomincia. Chiaro che adesso gli States sono in fiamme per lo spot di Clint&Mitt. Ma dopo il lungo week end del Labour Day, la festa del lavoro di qua, lunedì prossimo, il partito del presidente lancerà la sua Convention, i suoi slogan, magari le sue gag.

Insomma si ricomincia da Charlotte, North Carolina: altro giro, altra convention. Ok, ok: la strada per Barack Obama è in salita. Ma dov’è la novità? Il presidente che in quattro anni si è mangiato quasi un quarto della popolarità non doveva mica aspettare di essere preso in giro in diretta tv da un divo di Hollywood, come un George W. Bush qualsiasi, per avere – come si dice – il polso del paese.

Quel polso batte da tempo – da molto prima del suo arrivo alla Casa Bianca – di una febbre che prima si chiamava crisi finanziaria e oggi ha un nome che alle urne fa più paura: disoccupazione. In fondo il vero messaggio del paese che non ce la fa più da Tampa gliel’ha mandato mica Mitt Romney o Clint Eastwood: ma un signore per la verità al di sotto di ogni sospetto, quantomeno per il suo cognome – Jeb Bush.

Signor presidente, la smetta di dare le colpe al suo predecessore per il fallimenti della sua politica, ha tuonato tra gli entusiasmi della folla l’ultimo rampollo della simpatica dinastia di poveri petrolieri. Ma allora quale sarà la risposta Barack Obama squadernerà alla festa di Charlotte?

È qui per la verità che cominciano le dolenti note. Le elezioni americane non le decidono sempre il popolo, come proprio la prima salita al trono di George II contro Al Gore, decisa dalla Corte Suprema, dimostrò: a fare la differenza è il voto dei delegati degli stati.

Bisogna, quindi, prima di tutto conquistare gli stati. Il North Carolina sede della Convention è uno di quelli che quattro anni fa Barack aveva strappato ai repubblicani: per la prima volta dai tempi di Jimmy Carter. Già rievocare il nome del presidente che coltivava noccioline, per la verità, mette paura.

L’ha fatto lo stesso Mitt Romney dicendo che ogni inquilino della Casa Bianca che si è ripresentato per la rielezione ha potuto dimostrare al paese che le cose con lui erano migliorate: tranne Jimmy Carter – e questo presidente. Romney ovviamente mente: a non essere rieletto per il secondo termine fu anche un certo George Bush padre.

Ma è proprio l’incubo del presidente da un mandato solo ad attanagliare Obama. Charlotte non è la sede migliore per mostrare l’argenteria della Casa Bianca: fra l’altro piuttosto ossidata. Qui la disoccupazione è al 9.6 per cento: un livello tra i più alti negli States.

E sebbene fresco della conquista democratica, il North Carolina non è neppure il posto dove sventolare le proprie conquiste: ha bandito, per esempio, quei matrimoni gay che invece Obama ha platealmente promosso. Charlotte è pure la patria del capitalismo più inviso a Occupy Wall Street: qui ha sede, per dire, Bank of America, la madre di tutte le banche responsabili per la crisi immobiliare – e aspettiamoci dunque, mica tanto paradossalmente, più proteste no global qui che sotto le finestre dei milionari repubblicani di Tampa.

Aggiungeteci una legislazione odiosamente antisindacale, che ha fatto storcere il naso sulla scelta della Convention a quelle unions che non solo sono il braccio elettorale dei democratici, ma quattro anni fa avevano sganciato più di 8 milioni di dollari alla causa – e capirete insomma perché la strada, per Obama, è più che in salita.

Che dire? Anche qui, con questa scelta azzardata, Barack sembra essersi fatto male da solo: ma non è proprio nella capacità di vincere le sfide impossibili la forza di questo presidente? Alla vigilia dello show di Tampa il rapporto tra Obama e Romney – per quanto riguarda gli indecisi al voto – era di 46 contro il 43 per cento. I sondaggi, da oggi, continueranno a ripiovere.

Ma non è un caso che Scott Rasmussen, il mago dei numeri della destra, uno dei pochi ad avere indovinato in tempi non sospetti l’ascesa dei Tea Party, ora metta le mani avanti. Le Convention, dice dopo lo show di Mitt&Clint, non spostano il voto più di tanto. Sì, quattro anni dopo Obama è ancora avanti: di un soffio ma avanti. La settimana prossima 35mila persone invaderanno Charlotte per la “sua” festa.

The Show Must Go On: e questa volta a condurlo è lui, che in fondo ci sa fare. Parlerà Michelle, che raccoglierà la sfida simpatia lanciata da Ann Romney. Parlerà Bill Clinton, che racconterà come l’America non dovette per niente pentirsi per avergli affidato – in un momento non proprio economicamente brillante – il suo secondo mandato.

Lo spot di Clint? Se è per questo, Barack – l’ha detto del resto lo stesso Eastwood – ha tutta Hollywood dalla sua parte. Sì, quella poltrona alla Casa Bianca è occupata: magari in bilico ma occupata. La battaglia di Charlotte ci dirà ancora per quanto.

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