Trump’s Proposal to Macron: ‘Why Don’t You Leave the EU?’ He Then Offered a US-France Agreement

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L’invito di Trump a Macron: «Perché non esci dalla Ue?». E gli propone un’intesa Usa-Francia

Si potrebbe ricordare la massima “divide et impera”. Se Trump fosse un devoto di studi classici, potrebbe aver trovato qui l’ispirazione alla dottrina che sembra voler impiegare nei confronti di quello che di frequente ormai dipinge come uno dei suoi “nemici” giurati: l’Unione Europea. La sua strategia di sconquasso di alleanze e istituzioni internazionali, che danneggerebbero o ingabbierebbero la sua America First, nel caso della Ue passa attraverso un’alternanza di violenti attacchi diretti e di sforzi, appunto, per creare tensioni e separare tra loro i paesi del Vecchio continente, indebolendo qualunque fronte che offra resistenza al populismo nazionalista americano.

Le mosse si sono susseguite: è nota la posizione di Trump, ancora prima che diventasse Presidente, a favore di Brexit, quando ha salutato il successo del referendum britannico sull’uscita dall’Unione e promesso accordi economici bilaterali. Meno noto è, ma affiora adesso, che in recenti conversazioni con il leader francese Emmanuel Macron il Presidente americano avesse offerto persino alla Francia un “deal” simile: «Perché non te ne vai dalla Ue?», avrebbe chiesto a Macron, uno dei più convinti sostenitori dell’Unione, stando a ricostruzioni del Washington Post. Trump avrebbe poi proseguito dicendo che la sua amministrazione sarebbe disposta a offrire a Parigi intese con termini migliori rispetto a quelli che ha restando nella Ue.

Certo è difficile distinguere in Trump la politica dalle provocazioni; l’arringa per aizzare una platea domestica, minoritaria ma rumorosa, sensibile al suo populismo su fronti delicati che vanno dal commercio all’immigrazione, dalle posizioni che preludono piuttosto a veri e propri piani. Ma il filo conduttore del disprezzo e dell’indebolimento di tradizionali accordi e atteggiamenti multilaterali, il rispetto per gli gli storici alleati, che in passato aveva in Washington un pilastro, è impossibile da ignorare.

Potrebbe diventarlo sempre più sulla base di prossimi test della Casa Bianca in arrivo: Trump è impegnato a trovare un nuovo capo di staff, con l’idea che John Kelly lasci in estate e forse a giorni. Vale a dire farà scattare un rimpasto per una poltrona estremamente influente quando si tratta di orchestrare dibattiti, informazioni e posizioni che formano la base delle scelte del Presidente, internazionali come interne.

I due favoriti sono fidati esponenti ultra-conservatori: Mick Mulvaney, direttore dell’Ufficio di bilancio della Casa Bianca, e il chief of staff del vicepresidente Mike Pence, Nick Ayers, ma poco avvezzi a stimolare aperte discussioni. In luglio, soprattutto, Trump ha appuntamento in Europa con il vertice Nato, altra organizzazione-pilastro dell’Occidente da lui ripetutamente attaccata (durante l’ultimo G7 in Canada l’avrebbe definita “pessima come il Nafta”). E poi ecco il primo autentico summit con il leader russo Vladimir Putin, un avversario responsabile di piani di destabilizzazione della politica europea e americana che invece Trump insiste a trattare con i guanti di velluto. A fine mese riceverà infine alla Casa Bianca il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, in un clima che l’ha visto congratularsi con il nuovo governo italiano anzitutto per le sue caratteristiche anti-establishment.

Impossibile dimenticare, inoltre, la pressione centrifuga generata dalle azioni unilaterali americane che si sono già scontrate apertamente con le esigenze e priorità europee finora collettive, dai dazi globali su acciaio e alluminio alla rottura con l’accordo nucleare con l’Iran. Ha messo sotto accusa il settore europeo dell’auto, mettendo con particolare aggressività nel mirino i tedeschi senza nascondere la sua animosità per la cancelliera Angela Merkel, a sua volta grande alfiere della Ue, minacciando dazi del 20% all’import delle vetture. La forza stessa degli attacchi potrebbe essere intesa come un invito ad alcuni suoi membri più recalcitranti a sfilarsi dall’Unione.

In un ulteriore recente segno della spirale di scontro per spezzare la Ue, Trump non ha lesinato dichiarazioni che denunciano l’Unione – l’ha fatto durante un comizio in North Dakota – come addirittura nata con il solo proposito di «prendersi vantaggio degli Stati Uniti, di attaccare i nostri forzieri». Tanto che la durezza delle polemiche ha spinto alcuni osservatori statunitensi ad interrogarsi sui danni di lungo termine alla storica alleanza transatlantica, sopravvissuta in passato alle gravi divergenze sulla guerra in Iraq.

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