Superscorta per Obama
Si teme un’altra Dallas
Al senatore nero minacce e messaggi razzisti
DAL NOSTRO INVIATO
CINCINNATI (Ohio) — Quando il bus della «travelling press» si ferma davanti alla Union Terminal, uno dei capolavori dell’Art Deco negli Stati Uniti, gli agenti del servizio segreto sono già schierati ad attenderci. Ci avevano perquisito all’uscita dall’albergo appena un’ora prima, con l’aiuto dei cani. Ora la procedura si ripete: sistemiamo computer e trolley sul marciapiede, i pastori tedeschi li annusano uno per uno, mentre ci mettiamo in fila all’aperto, la temperatura a meno 5, per il controllo personale.
Sempre meglio di quando dobbiamo farlo sulla pista dell’aeroporto, ai piedi del Boeing 737, con il vento che dà frustate. Succede cinque, sei volte al giorno, ogni qualvolta entriamo nello stesso luogo dove sta per arrivare Renegade. E ogni volta, lo stesso pensiero: e se dovesse succedere? Se un pazzo dovesse rifarlo? Renegade è Barack Obama. Così lo ha ribattezzato il Secret Service, per identificarlo rapidamente, da quando nel maggio 2007 il senatore afro-americano è stato messo sotto la protezione degli agenti federali. Non era mai successo, che un candidato presidenziale fosse preso così presto in consegna dall’apparato di sicurezza governativo. Ma nel caso di Obama, più che le minacce e i messaggi razzisti che pure arrivano nelle mail-box della sua campagna, sono la storia e la memoria collettiva a imporre tanta prudenza e tante precauzioni. Sono passati quarant’anni dalla primavera di sangue del 1968, quando nell’arco di due mesi vennero assassinati il reverendo Martin Luther King, profeta non violento della riconciliazione razziale, e il senatore Robert Kennedy, ormai prossimo alla nomination democratica. E sono le impressionanti analogie con quella stagione di entusiasmo e di speranza ad alimentare la paura, spesso irrazionale, di una tragedia che si possa ripetere. Il primo candidato nero con una seria chance di puntare alla presidenza incarna le stesse attese e la stessa ansia di cambiamento, che alitò con King e Kennedy. Ma fagogita gli stessi fantasmi, in un Paese mai veramente in pace con il crogiolo delle sue razze. Non ci sono, a questo momento, minacce precise o credibili. Ma il successo travolgente della sua candidatura, le folle da stadio che ne accompagnano ogni apparizione, hanno fatto aumentare il livello di protezione: «Solo il presidente Bush ne ha uno più alto», ci dice uno degli uomini dello staff. Nonostante il numero preciso sia un’informazione riservata, sono almeno in 25 a fargli da angeli custodi giorno e notte.
A sollecitare un più alto livello di protezione è stato in gennaio il deputato democratico del Mississippi, Bennie Thompson, presidente della Commissione per la Sicurezza nazionale, in una lettera al ministero degli Interni: «Da afro-americano che ha vissuto alcuni dei momenti più vergognosi di questo Paese durante il movimento dei diritti civili, so personalmente che l’odio di alcuni nostri connazionali può portare a bestiali atti di violenza». Obama cerca di mostrarsi tranquillo. «Ho la migliore protezione del mondo, non credo debba preoccuparmi più di tanto», dice sull’aereo tra Cincinnati e Cleveland, quando gli poniamo la domanda. E ricorda che «né Bob Kennedy, né il reverendo King erano protetti dal servizio segreto». «Ma lei ha paura?», insistiamo: «Ha ragione mia moglie Michelle, quando dice che bisogna ricordarsi l’invito di Coretta King: non temere il futuro, non c’è sfida che non si possa vincere». Eppure l’ansia rimane. Alimentata anche dall’appoggio dato a Barack Obama da Ted e Caroline Kennedy, simbolico passaggio di un’eredità nobile e tragica. Ha paura la comunità afro-americana, unitasi dietro di lui dopo le prime perplessità, a volte dettate dal desiderio di non vederlo troppo esposto. Tremano gli orfani del sogno, che vedono in Obama tutto ciò che fu strappato loro dai proiettili del 1968. Mercoledì scorso a Dallas, la città dove il presidente John F. Kennedy venne assassinato nel 1963, il servizio segreto ha all’improvviso smesso di perquisire la gente che entrava a un comizio di Obama. Lo ha fatto per smaltire la fila di migliaia di persone, in apparenza senza rischiare nulla. Ma a molti, un brivido è corso lungo la schiena.
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