L’ora di Michelle una moglie vestita per vincere
Sempre elegante, l’hanno paragonata a Jackie. Ma nella determinazione assomiglia a Hillary
MARIA GIULIA MINETTI
Benché la cosa appaia sconcertante al primo momento, Michelle Robinson Obama, 44 anni compiuti il 17 gennaio scorso, donna bella, combattiva, intelligente e niente affatto simpatica, assomiglia sotto tantissimi aspetti a Hillary Rodham Clinton e dovrà stare attenta a non trovarsi nelle peste come lei, appena arrivata a Washington (se ci arriverà, beninteso), un posto adattissimo a first lady tipo le due – peraltro diversissime – signore Bush, o le mondanissime signore Reagan e Kennedy, ma irto di tagliole per donne che hanno la stessa determinazione, lo stesso successo professionale, gli stessi interessi dei mariti presidenti.
Appare perciò abbastanza patetica la corsa cronistica – e su giornali di prim’ordine, New York Times e Washington Post in pole position – a rintracciare paragoni di stile, e dunque affinità di carattere, fra Michelle e l’inevitabile Jacqueline (l’unica first lady a oggi capace di vestirsi bene e di fare bella figura con i suoi bei vestiti addosso), o fra Michelle e l’evitabilissima nonna Barbara (Bush), tirata in ballo per via delle collane a girocollo di perle grosse come uova di piccione e una certa allure di «dressed to win», vestita per vincere. Le collane, è vero, si assomigliano, e una certa imperiosità nell’indossarle Michelle e Barbara ce l’hanno in comune, ma l’una è l’imperiosità di chi ha fatto carriera e veste, per così dire, da conquistatore (Michelle), l’altra è l’imperiosità della nascita, di un ottimo matrimonio, di un’abitudine al vertice che si rivela soprattutto nell’indifferenza alla linea, nei capelli bianchi, nei tacchi tozzi (Barbara), un modo di vestire – e di essere – alla Elisabetta d’Inghilterra, non fosse che la regina ha un’aria serena, e l’ex first lady, invece, grifagna.
Tornando al paragone con Hillary Clinton, va detto però, restando sul piano dell’abbigliamento che tanto affascina i reporter americani in questa vigilia della nomination dove la politica non è in corsa con la frivolezza, e dunque alla frivolezza ci si può abbandonare spacciandola per scrutinio psicologico, tornando alle affinità tra Michelle e Hillary, bisogna pur ammettere che l’unico punto dove è impossibile trovare somiglianze fra le due è proprio il modo di vestire. Tralasciamolo un attimo per elencare invece i punti di convergenza: scuole buonissime entrambe concluse con la «graduation» alle facoltà di Legge più prestigiose degli Stati Uniti: quella di Yale per Hillary, quella di Harvard per Michelle. Matrimonio con giovanotti intelligentissimi e ambiziosissimi con lo stesso cursus di studi, carriera in proprio di entrambi i coniugi con progressiva immersione nella politica dei mariti e prestigio professionale crescente delle mogli: partner del più importante studio legale dell’Arkansas Hillary, vicepresidente dell’ospedale universitario di Chicago Michelle.
Ma se arriviamo ai vestiti, ogni analogia cade: Michelle è elegantissima, a postissimo, sobria e audace insieme, braccia magnifiche messe spesso in risalto da abiti senza maniche (lo faceva anche Jacqueline, ma solo perché ai tempi suoi si usava così; Michelle è più self conscious); ha un corpo scattante, ricorda le atlete nere dei giochi olimpici, le cantanti alla Whitney Houston, il rovescio dell’immagine tradizionale della donna nera americana, che anche arrivata al successo combatte col peso una lotta diuturna (vedi Oprah Winfrey, sempre sul punto di scoppiare negli abiti). Hillary, poveraccia, non è mai riuscita a vestirsi bene, invece. Non ce l’ha mai fatta a buttar giù quel sederone che nasconde sotto giacche di tailleur troppo lunghe; l’aspetto è sempre quello di quand’era giovane all’università, la secchiona con gli occhiali e le braccia piene di libri con addosso quel che vien viene.
Se ammettiamo che Hillary e Michelle abbiano molto più in comune fra loro di quanto mai avrà in comune Michelle con qualsivoglia ex first lady del passato, la sofisticata Jacqueline, l’imperlata Babs, la nevrotica Nancy, cosa significherà allora il divario vestimentale fra le due? Che c’è dietro, psicologicamente parlando? Fossi un cronista americano, è questo lo scrutinio cui mi dedicherei.
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