U.S. at Economic Crossroads

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È finita o i suoi effetti si faranno sentire in ritardo? Molto dipenderà dalle decisioni sui mutui e sul mercato immobiliare

George Bush A quasi un anno dall’inizio della più grave crisi finanziaria dagli anni Trenta la maggiore sorpresa è quanto solida sembra essere l’economia americana. A dispetto delle notizie catastrofiche, nel primo trimestre 2008 il Pil Usa è cresciuto dell’1%, e le stime parlano di un 2-2,5% nel secondo trimestre: tassi di crescita inferiori alla media, ma assolutamente invidiabili per noi italiani. Come spiegarlo?

Una possibilità è che gli effetti della crisi finanziaria si facciano sentire con ritardo. Quando le banche in difficoltà vogliono tagliare credito alle imprese, non riescono a farlo subito. Non possono cancellare le linee di credito esistenti, possono solo rifiutarsi di rinnovarle o di aprirne di nuove. Le imprese, da parte loro, quando non riescono ad ottenere credito, inizialmente usano le proprie riserve di liquidità per fare fronte agli impegni già presi. È solo con il passare del tempo che gli effetti della crisi del credito si ripercuotono sugli investimenti delle imprese ed i consumi delle famiglie, riducendo la domanda di beni e servizi e precipitando la crisi. Se così fosse, ci attende un triste futuro.

L’ipotesi alternativa è che l’economia reale sia diventata meno sensibile alle crisi finanziarie. Prima di questa crisi le imprese avevano accumulato forti riserve di liquidità, che permettono loro di continuare ad investire nonostante le riduzioni di credito. Queste riduzioni poi non sono così terribili come anticipato, perché i fondi sovrani hanno permesso alle banche di raccogliere una quantità enorme di capitale di rischio in tempi molto brevi, sollevandole dall’obbligo di tagliare i prestiti per mantenere i rapporti patrimoniali richiesti. Grazie al forte declino del dollaro, infine, il settore delle esportazioni sta tirando e gli interessi reali negativi rendono investimenti e consumi sempre più allettanti. Se così fosse, il peggio sarebbe già passato.

Quale futuro ci attende? Purtroppo ci troviamo ad un bivio. Entrambi gli scenari sono realistici. Quale dei due si realizzerà dipende dall’andamento delle insolvenze sui mutui immobiliari. Fino a questo momento, la maggior parte delle insolvenze è stata concentrata tra i mutui più a rischio, concessi nell’illusione che il mercato immobiliare salisse sempre. Adesso, però, il declino del 20% dei prezzi delle case minaccia anche i mutui ‘normali’. L’ americano medio che nel 2006 ha comprato una casa per 300mila dollari con un anticipo in contanti del 5%, si trova oggi a possedere una casa che vale 240mila dollari con un mutuo di 285mila. Se abbandona la casa e si libera del mutuo (negli Stati Uniti è possibile), il signor Smith risparmia la bellezza di 45mila dollari. Al suo guadagno, però corrisponde una perdita di 142mila dollari per la banca, perché le case abbandonate non vengono mantenute e sono difficili da vendere. Storicamente la perdita è pari al 50% del credito.

Se l’economia americana (e a seguito quella mondiale) entrerà in una crisi profonda o si solleverà rapidamente, dipende quindi dalle decisioni dei molti signor Smith che si trovano in questa situazione. Se la maggior parte di queste famiglie decide di abbandonare casa e mutuo, le perdite per le banche aumenteranno e i prezzi delle case si ridurranno ulteriormente, innescando una spirale negativa. In questo caso lo scenario catastrofico è assicurato. Se invece resistono, l’economia è nelle condizioni per riprendersi.

Storicamente lo stigma sociale della bancarotta e il costo (economico e psicologico) di un trasloco ha dissuaso le famiglie che si sono trovate con un valore netto della casa negativo ad andarsene. Le insolvenze si verificavano solo quando l’onere in interessi diventava insostenibile.

Oggi, però, la situazione è diversa. Da un lato, il forte declino dei valori immobiliari aumenta la tentazione di dichiararsi insolvente. Dall’altro, il problema è talmente diffuso che tale scelta potrebbe diventare socialmente accettabile, ampliando l’entità del fenomeno. Per evitare che questo succeda sarebbe utile un intervento del governo che riduca gli incentivi ad abbandonare mutui e case. Teoricamente questo obiettivo può essere conseguito in due modi. Si possono agevolare le banche che riducono l’ammontare dei loro mutui. O si puo rendere più costoso alle famiglie dichiararsi insolventi. In un anno elettorale, però, solo la prima strada è percorribile, perché la seconda sarebbe estremamente impopolare. Ma il tempo stringe. Domani potrebbe essere troppo tardi

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