LE PAGELLE DEL SECONDO CONFRONTO
McCain confuso e senza idee
Obama sicuro, ma non sorprende
di VITTORIO ZUCCONI
JOHN MCCAIN 5
Gioca in casa, in quel formato di “incontro con la gente” che lui considera il terreno preferito e quindi dovrebbe fare meglio, secondo il gioco delle aspettative della vigilia che erano elevate per lui quanto erano state sottozero per la sua valletta, la vice Sarah Palin. Cerca invano il colpo della domenica che pareggi il cartellino e annunci la rimonta e non lo trova. Il suo confuso, a tratti balbettante, programma politico e di governo si può riassumere in quattro parole: “Non votate per Obama”. Per favore. Vi scongiuro. La sua è una melina di azioni prevedibili, non quell’attacco lancia in resta che i suoi tifosi inquieti chiedevano.
L’evidente disprezzo che nutre per Obama, espresso con l’aria collerica del vecchio che non crede ai propri occhi di fronte a quell’impertinente giovanotto che osa derubarlo del suo presunto diritto al trono e al quale si riferisce con disdegno come a “quello lì”, lo deruba della capacità di articolare un’azione che colpisca il bersaglio. Non ha niente da dire, oltre a promesse insensante di ricomperare le case a chi non riesce a pagare il mutuo (altri 300 miliardi a carico di quei contribuenti che invece lo pagano) e all’invocazione a non votare per quell’altro e lo dice pure male.
Il cronometro, in questo caso il calendario, non lavora per lui e ogni giorno che ci avvicina al fischio finale del 4 novembre è un giorno in meno per convincere l’America a non votare per Obama. Gli restano 28 giorni per bombardare l’avversario di spot negativi e un dibattito, il 17, per spaventare gli elettori, essendo ormai ovvio che non potrà vincere con un voto in positivo per sè stesso e per la sua valletta. Meriterebbe il 5 soltanto per la atroce battuta sul “trapianto di capelli che forse non avrò il tempo di farmi”, come se avessimo avuto bisogno di ricordarci che è nato quando era presidente Franklyn Delano Roosevelt e in Italia governava Benito Mussolini. Il suo problema è che non sembra un presidente.
BARACK OBAMA 6
Fa meglio perché non fa peggio. E’ il solito Obama in versione 2.0 che conosciamo dalla fine della campagna vittoriosa contro la tigre Hillary, il candidato riprogrammato e “upgraded” che ha smesso i calzari del profeta per indossare la toga del possibile imperatore. La sua campagna ha deciso che potrà vincere semplicemente rassicurando gli elettori incerti e inquieti per la sua inesperienza (leggi: per il colore della sua pelle) incarnando quel bisogno di cambiamento che un vecchio di 72 anni e una vice pescata con criteri da concorso per Miss Cotonella, non possono seriamente rappresentare.
Il vento furioso della recessione che ormai soffia sull’America e promette notizie economiche sempre più cupe nelle settimane che rimangono prima del 4 novembre, lo sta spingendo verso una vittoria che ormai soltanto lui può farsi sfuggire. A giudicare dalla sua capacità di scansare i colpi, di lavorare l’avversario con colpi d’incontro, di incassare senza danni apparenti anche l’insolenza del vecchio stizzoso e le battute precotte della Palin, sarà difficile fargli perdere l’equilibrio. Nei sondaggi a caldo post dibattito, sta di 20 punti percentuali (58 a 38) davanti a McCain sul terreno della catastrofe finanziaria ed economica, quello sul quale si giocherà il finale. Il resto, gli scheletri del passato che ogni politico porta nell’armadio, gli errori, l’Iraq, Osama Bin Laden o la Georgia, persino le bugie di entrambi sulle tasse che dovranno inesorabilmente aumentare in questo abisso di deficit pubblico scavato per fermare l’incendio di Wall Street, contano come candeline in un tornado.
Resta soltanto la questione del colore della pelle, fra lui e la Casa Bianca e su questa, attraverso metafore, allusioni, simbolismi e strizzatine d’occhio, i suo avversari sono costretti a puntare. Ma ogni giorno che trascorre, “quello lì” sembra progressivamente sempre più un presidente.
TOM BROKAW 5-
Prigionerio di un formato preconfezionato e ingessato fino alle lacrime di noia, il vecchio ex grande dei telegiornali NBC non riesce a spezzare le catene. Per sembrare equilibrato agli occhi dei cani da presa della destra che accusano i grandi media di essere i chierichetti di Obama (dimenticando che fino a qualche mese fa, McCain era adorato e protetto proprio dai grandi media tradizionali, e molto amico dello stresso Brokaw prima di trasformarsi nel vecchietto inacidito e bugiardo che oggi vediamo all’opera) finisce per essere la creta che chiude e allessa il pollo del dibattito. Questi “format” televisivi, 48 anni dopo il mitico Nixon-Kennedy hanno fatto il loro tempo e deludono ormai puntualmente le enormi attese che creano.
Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.