Even before having a chance to sit down in the Oval Office, Barack Obama has been faced with the thorny issue of Guantanamo Bay and the prison created by George Bush for presumed Islamic terrorists. While Washington was still celebrating his inauguration, the new president asked for and obtained from military attorneys a suspension of the legal proceedings against detainees of the prison in Cuba until the 20th of May and began a reexamination of the military commissions system established by his predecessor.
Theoretically, this is the first step towards dismantling a controversial and hateful structure, the immediate consequence of rejecting the false choice "between our safety and our ideals," as Obama announced in his inauguration speech. At the same time, White House experts have drawn up the executive order that will shut down the detention center. The president could even sign it today.
It is clear that the new administration is determined to fight terrorism while preserving the rule of law. The strategic purpose of this political intervention in the judicial field is to give back to ordinary courts the delicate issue of the war on terror, which the pervasive Bush and Cheney administration had removed from the ordinary justice system and the rule of law. By choosing to start this process by pausing for reflection and evaluating on a case-by-case basis, Obama shows his pragmatic and non-ideological approach.
The president was very clear a few days ago when he explained that Guantanamo prisoners must been tried with a process that adheres to rule of law but that "doesn't result in releasing people who are intent on blowing us up." The results of the reexamination should not be taken for granted, however. As the Washington Post writes, “it is also possible that the administration could reform and relocate the military commissions before resuming trials," which means that detainees charged for war crimes may not be sent to federal or martial courts.
Even if most of the 250 prisoners are released and Guantanamo's inhumane cages fall into disuse, it is not certain that the current hated system will be abolished. In fact, one of the options that Obama's administration is considering is the creation of “national security courts,” where it would be possible to use evidence obtained in a coercive manner. Champions of human rights are worried, but Barack Obama does not want to run risks. As ex-president of the Harvard Law Review, he wants to defend habeas corpus. As United States president, however, he must defend his country’s security, whatever the cost.
Ancora prima di sedersi nello Studio Ovale, Barack Obama ha preso di petto la questione urticante di Guantanamo, il carcere creato da George Bush per i presunti terroristi islamici. Mentre ancora Washington ne celebrava in cento balli l'insediamento, il nuovo presidente ha chiesto e ottenuto dai procuratori militari la sospensione fino al 20 maggio dei procedimenti legali contro i detenuti della prigione cubana e l'avvio di un riesame del sistema delle commissioni militari, instaurato dal predecessore.
In teoria è il primo passo verso lo smantellamento di una struttura controversa e odiosa, il corollario immediato del «rifiuto della falsa scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali», annunciato da Obama nel discorso inaugurale. Contemporaneamente, gli esperti della Casa Bianca hanno già stilato il testo di un ordine esecutivo, che prevede la chiusura del centro di detenzione entro un anno. Il presidente potrebbe firmarlo già oggi.
È evidente che la nuova Amministrazione sia determinata a riportare la lotta al terrorismo nella rule of law. E che l'obiettivo strategico di questo intervento sanatorio della politica nel campo giudiziario, da nessuno considerato uno scandalo, sia quello di restituire alle corti ordinarie (civili o marziali, questo resta da vedere) anche un tema minato come la lotta al terrorismo, che la pervasiva Casa Bianca di Bush e Cheney aveva invece sottratto alla giustizia ordinaria e allo Stato di diritto. Ma scegliendo di cominciare da una pausa di riflessione, da una valutazione caso per caso, Obama indica ancora una volta un approccio pragmatico e non ideologico.
Il presidente era stato chiaro pochi giorni fa, spiegando che bisogna sì processare i detenuti di Guantanamo, ove ve ne siano le condizioni giuridiche, ma «evitando di rimettere in circolazione gente che vuol farci saltare in aria». Concretamente, l'esito del riesame non è scontato. E, come scrive il Washington Post, «sarebbe anche possibile che l'Amministrazione scelga di riformare e di spostare altrove le commissioni militari, prima di riprendere i processi», non trasferendo cioè i detenuti ai tribunali federali o alle corti marziali per crimini di guerra.
Posto altrimenti, anche se buona parte dei circa 250 prigionieri fossero rilasciati e alla fine le disumane gabbie di Guantanamo cadessero in disuso, non è detto che il tanto esecrato sistema attuale sia del tutto abolito. Anzi, una delle opzioni all'esame della nuova Amministrazione è la creazione di «corti della sicurezza nazionale», dove sarebbe possibile usare anche prove ottenute con metodi coercitivi. I paladini dei diritti umani si mostrano preoccupati. Ma Barack Obama non vuol correre rischi. Da ex presidente della Harvard Law Review, difende l'habeas corpus. Ma, da presidente degli Stati Uniti, deve e vuole difendere la sicurezza del Paese. Anche al costo di avere una Guantanamo senza Guantanamo.
22 gennaio 2009
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