The China-U.S. Dialogue

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‘America vuole la soluzione della crisi economica. In secondo piano diritti civili e cambiamento del clima

Per la Cina la vittoria di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti è stata palese motivo di sollievo. Malgrado i discorsi protezionistici di Obama, i leader cinesi hanno ritenuto che egli fosse meno ideologico e meno ostile verso di loro del suo rivale repubblicano, John McCain, che ha sempre conservato un atteggiamento da falco nei loro confronti.

Una volta che Obama si è insediato alla Casa Bianca, tuttavia, Pechino ha iniziato a nutrire minori certezze sulla politica del neopresidente nei confronti della Cina. La nomina da parte sua del segretario di Stato Hillary Clinton, in particolare, non è stata considerata una decisione, per così dire, ‘filo-cinese’. Fonti cinesi hanno apertamente dichiarato di paventare che Hillary Clinton potesse dare maggiore rilievo ai diritti umani e alla questione del Tibet rispetto all’Amministrazione Bush che di rado ha toccato questi temi nelle sue relazioni con la Cina. Il nuovo segretario del Tesoro, Timothy Geithner, dal canto suo ha indispettito Pechino quando ha accusato la Cina di ‘manipolazioni valutarie’, alludendo alla politica cinese che mantiene deprezzata la propria valuta.

Le preoccupazioni di Pechino in relazione a Obama – si scopre adesso – non erano necessarie: il nuovo presidente americano ha dimostrato di fatto di avere un’agilità e una perspicacia diplomatica di cui il suo predecessore, George W. Bush, era del tutto incapace. Dopo l’accenno critico di Geithner a ‘manipolazioni valutarie’, Obama ha chiamato il presidente cinese Hu Jintao ed è riuscito ad appianare la situazione. Insieme a Hillary Clinton di proposito ha scelto l’Asia per la missione diplomatica inaugurale di quest’ultima.

Prima che Hillary Clinton partisse per il suo tour diplomatico in Asia che ha toccato quattro Paesi, iniziatosi in Giappone e conclusosi in Cina, si facevano molte congetture e ipotesi: ci si chiedeva per esempio se avrebbe affrontato le questioni più scottanti nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, come l’ingente deficit commerciale americano nei confronti della Cina, le violazioni dei diritti umani e il Tibet. Gli attivisti che si battono per i diritti umani speravano che Hillary Clinton avrebbe bissato il successo del suo apprezzatissimo discorso sui diritti umani fatto a Pechino nel 1995, in occasione di una conferenza internazionale sui diritti delle donne.

Oggi quegli attivisti devono sentirsi amareggiati e delusi: arrivata a Pechino, Hillary Clinton non ha fatto quasi riferimento alcuno ai diritti umani o all’attuale politica valutaria cinese, ma ha sottolineato gli ambiti operativi nei quali Stati Uniti e Cina potrebbero collaborare, come il cambiamento del clima e la crisi economica globale in corso. Benché abbia ammesso che i precedenti cinesi in tema di diritti umani siano tuttora molto controversi e discutibili, il segretario di Stato americano ha anche ribadito che questo problema non precluderà agli Stati Uniti di cercare il sostegno di Pechino per affrontare insieme altri problemi e sfide globali, apparentemente più urgenti.

Certo, la visita di Hillary Clinton in Cina non ha portato, a ‘impegni contrattuali’, in gergo tecnico politico ‘accordi effettivi’. In ogni caso deve aver messo maggiormente a suo agio la leadership cinese nei riguardi di Obama. In particolare, la nuova amministrazione americana sembra sapere molto bene come dividere in compartimenti stagni le complesse relazioni sino-statunitensi, tenendo ben distinte tra loro le tematiche di forte dissenso da quelle nelle quali esistono possibilità di cooperazione. Cosa ancor più importante, Washington è decisa a impedire che le controversie bilaterali impediscano un effettivo coinvolgimento da parte della Cina nell’ambito di questioni cruciali che stanno maggiormente a cuore agli interessi nazionali americani, per esempio la ripresa economica, il cambiamento del clima e la non-proliferazione nucleare.

Un simile pragmatismo è indubbiamente rassicurante, non soltanto per i cinesi, ma per il mondo intero. Dopo aver ascoltato per otto anni lo slogan ‘O con noi, o contro di noi’, la comunità internazionale ha ben motivo di festeggiare il ritorno a Washington del buonsenso. La vera sfida per la politica pragmatica di Obama in Cina, tuttavia, consiste nel capire se avrà possibilità di riuscita o no. Per il momento, Pechino non ha fatto concessioni, né in tema di cambiamento del clima, né di politica valutaria. Naturalmente, occorrerà qualcosa di più di una visita da parte di Hillary Clinton – per quanto volitiva e affascinante ella sia – prima che la politica di Obama in Cina possa dare i suoi frutti.

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