If We Lose Turkey

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Ankara va tenuta legata all’Occidente. Gli Usa lo hanno capito. Ma cosa fa l’Europa?

Una veduta di Istanbul al tramonto Sono imminenti in Turchia le elezioni locali previste per fine mese e il Paese attende con impazienza la visita di Barack Obama. Laddove le elezioni delineeranno il futuro dell’assetto politico interno del Paese, la visita di Obama attesta l’importanza accordata alla cooperazione della Turchia con gli Stati Uniti su questioni prioritarie per la politica estera americana.

La visita bilaterale in Turchia alla conclusione del suo primo viaggio in Europa per prendere parte a tre summit, corrobora l’opinione americana che la Turchia è un paese europeo, membro dell’Alleanza Atlantica, e conferma i messaggi lanciati dal segretario di Stato Hillary Clinton durante la sua recente tappa ad Ankara, dimostrando che Washington considera la Turchia un valido alleato in Iraq, in Afghanistan, nel processo di pace in Medio Oriente e nel Caucaso. In particolare, Hillary Clinton ha lodato la natura laica e democratica del governo, auspicando che la Turchia consolidi il suo carattere occidentale sia in senso strategico, sia in termini di identità politica e ideologica interna.

In termini più pratici, gli Stati Uniti intendono lavorare con il governo turco nella fase di ritiro dall’Iraq. Negli ultimi due anni, Washington ha fornito ad Ankara un apprezzabile supporto d’intelligence per sradicare dal nord dell’Iraq i separatisti del Pkk, e la Turchia ha iniziato a cambiare la propria politica nei confronti delle autorità del governo del Kurdistan. Allo stato attuale, le autorità curde e turche collaborano da vicino nelle operazioni di disarmo volte a smembrare il Pkk. A fronte del serio pericolo costituito dal sempre più forte esercito iracheno, i curdi non hanno miglior potenziale alleato del loro vicino turco. Benché resti irrisolta la questione della provincia di Kirkuk, nella quale il petrolio abbonda, il processo di riavvicinamento tra i due Paesi prosegue senza scossoni, circostanza apprezzata dagli americani.

La Turchia si è rivelata di particolare aiuto in Afghanistan, nell’addestramento delle forze di sicurezza afgane, nella costruzione e nell’amministrazione di scuole e ospedali. Ankara è riluttante però a inviare sue truppe combattenti in Afghanistan, malgrado Washington insista nel chiederle. In Medio Oriente, nonostante la reazione turca all’attacco israeliano a Gaza, la disponibilità e i buoni uffici di Ankara sono apprezzati per l’opera di mediazione.

Il presidente turco Abdullah Gül si è recato a Teheran dove ha incontrato il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei e a quanto pare gli ha reso note le sue opinioni sulle intenzioni dell’Amministrazione americana. Cosa ancora più importante è che i due Paesi stanno collaborando per mettere a punto il riavvicinamento di Turchia e Armenia. Da notizie non confermate si potrebbe desumere che stiano preparando il terreno per una iniziativa volta a dare inizio alle relazioni diplomatiche tra Ankara e Yerevan e alla successiva apertura delle frontiere. Questa svolta dipende dall’intenzione o meno da parte del parlamento o del presidente di definire ufficialmente ‘genocidio’ ciò che accadde agli armeni ottomani nel 1915.

È evidente, da quanto detto, che Ankara si trova in una posizione ottimale per rivestire un ruolo costruttivo di primo piano in tutte le aree che la circondano. L’unico interrogativo sul quale ancora si arrovellano le menti di molti esperti è capire se Ankara, governata da un partito che affonda le proprie origini in un movimento islamista, sarà maggiormente disposta a impegnarsi come alleato dell’Occidente o alleato di un paese islamico mediorientale. Da qui nasce la banale domanda che circola in questi giorni: “Stiamo forse lasciandoci sfuggire la Turchia?”.

La Turchia non sta volgendo le spalle all’Occidente in termini di direzione strategica, ma di fatto chiede spazio per un ruolo più autonomo da rivestire come potenza regionale nelle zone circostanti. La Turchia deve restare un paese occidentale in termini di organizzazione politica interna, struttura ideologica, principi e valori che propugna.

Ankara va tenuta legata all’Occidente. Gli Usa lo hanno capito. Ma cosa fa l’Europa?

Una veduta di Istanbul al tramonto Sono imminenti in Turchia le elezioni locali previste per fine mese e il Paese attende con impazienza la visita di Barack Obama. Laddove le elezioni delineeranno il futuro dell’assetto politico interno del Paese, la visita di Obama attesta l’importanza accordata alla cooperazione della Turchia con gli Stati Uniti su questioni prioritarie per la politica estera americana.

La visita bilaterale in Turchia alla conclusione del suo primo viaggio in Europa per prendere parte a tre summit, corrobora l’opinione americana che la Turchia è un paese europeo, membro dell’Alleanza Atlantica, e conferma i messaggi lanciati dal segretario di Stato Hillary Clinton durante la sua recente tappa ad Ankara, dimostrando che Washington considera la Turchia un valido alleato in Iraq, in Afghanistan, nel processo di pace in Medio Oriente e nel Caucaso. In particolare, Hillary Clinton ha lodato la natura laica e democratica del governo, auspicando che la Turchia consolidi il suo carattere occidentale sia in senso strategico, sia in termini di identità politica e ideologica interna.

In termini più pratici, gli Stati Uniti intendono lavorare con il governo turco nella fase di ritiro dall’Iraq. Negli ultimi due anni, Washington ha fornito ad Ankara un apprezzabile supporto d’intelligence per sradicare dal nord dell’Iraq i separatisti del Pkk, e la Turchia ha iniziato a cambiare la propria politica nei confronti delle autorità del governo del Kurdistan. Allo stato attuale, le autorità curde e turche collaborano da vicino nelle operazioni di disarmo volte a smembrare il Pkk. A fronte del serio pericolo costituito dal sempre più forte esercito iracheno, i curdi non hanno miglior potenziale alleato del loro vicino turco. Benché resti irrisolta la questione della provincia di Kirkuk, nella quale il petrolio abbonda, il processo di riavvicinamento tra i due Paesi prosegue senza scossoni, circostanza apprezzata dagli americani.

La Turchia si è rivelata di particolare aiuto in Afghanistan, nell’addestramento delle forze di sicurezza afgane, nella costruzione e nell’amministrazione di scuole e ospedali. Ankara è riluttante però a inviare sue truppe combattenti in Afghanistan, malgrado Washington insista nel chiederle. In Medio Oriente, nonostante la reazione turca all’attacco israeliano a Gaza, la disponibilità e i buoni uffici di Ankara sono apprezzati per l’opera di mediazione.

Il presidente turco Abdullah Gül si è recato a Teheran dove ha incontrato il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei e a quanto pare gli ha reso note le sue opinioni sulle intenzioni dell’Amministrazione americana. Cosa ancora più importante è che i due Paesi stanno collaborando per mettere a punto il riavvicinamento di Turchia e Armenia. Da notizie non confermate si potrebbe desumere che stiano preparando il terreno per una iniziativa volta a dare inizio alle relazioni diplomatiche tra Ankara e Yerevan e alla successiva apertura delle frontiere. Questa svolta dipende dall’intenzione o meno da parte del parlamento o del presidente di definire ufficialmente ‘genocidio’ ciò che accadde agli armeni ottomani nel 1915.

È evidente, da quanto detto, che Ankara si trova in una posizione ottimale per rivestire un ruolo costruttivo di primo piano in tutte le aree che la circondano. L’unico interrogativo sul quale ancora si arrovellano le menti di molti esperti è capire se Ankara, governata da un partito che affonda le proprie origini in un movimento islamista, sarà maggiormente disposta a impegnarsi come alleato dell’Occidente o alleato di un paese islamico mediorientale. Da qui nasce la banale domanda che circola in questi giorni: “Stiamo forse lasciandoci sfuggire la Turchia?”.

La Turchia non sta volgendo le spalle all’Occidente in termini di direzione strategica, ma di fatto chiede spazio per un ruolo più autonomo da rivestire come potenza regionale nelle zone circostanti. La Turchia deve restare un paese occidentale in termini di organizzazione politica interna, struttura ideologica, principi e valori che propugna.

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