Decoding the Financial Jargon

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Il mondo degli affari usa un gergo incomprensibile. Così siamo stati ingannati. Il ruolo di stampa e scrittori

Wall Street La vista dalla finestra del mio appartamento a New York si apre su due ground zero: a sinistra, l’epicentro dell’esplosione che ha cambiato il caratteristico profilo di Manhattan creando una voragine laddove sorgeva il World Trade Center e, a destra, nella zona circostante Wall Street, la capitale finanziaria del mondo, l’epicentro della crisi economica.

Otto anni di governo Bush – iniziato con il surplus di 128 miliardi di dollari tramandato dal precedente governo e conclusosi con una fuga che ha lasciato dietro un deficit di 10,6 migliaia di miliardi – ci hanno consegnato un sistema finanziario mondiale in rovina. Ricordo quando, nel 2006, mi recai presso una società che rilasciava mutui per sapere se potevo permettermi una casa. “Non ho un impiego fisso”, cominciai a spiegare, “e il mio reddito può variare da un anno all’altro, per cui mi è difficile quantificare.”. “Non importa”, mi aveva interrotto il mediatore, “non occorre comunicare il suo reddito a chicchessia. Noi possiamo concederle un prestito che non prevede la presentazione di documenti”. Ero rimasto stupito: le strade degli Stati Uniti dovevano davvero essere asfaltate d’oro, avevo pensato. L’oro degli stolti, come si rivelò in seguito.

Ora il mondo intero paga per il fatto che gli americani hanno pagato troppo per le loro case.

Ancora una volta, a soffrire di più sono i poveri. Sono 90 milioni le persone che potrebbero essere spinte sotto la soglia di povertà entro la fine del 2010 a causa della crisi, perché gli investitori dei paesi ricchi tengono lontano il loro denaro dai rischiosi mercati azionari dei paesi emergenti. Negli Stati Uniti, la recessione implica che le persone perdono il posto di lavoro e devono quindi lasciare la propria casa. In Africa la conseguenza è che le persone non avranno da mangiare e moriranno.

La facilità con la quale siamo stati ingannati può essere imputata per buona parte al linguaggio del mondo degli affari che è diventato incomprensibile quanto la messa in latino. Siamo vittime dei gerghi: di quello delle riviste accademiche, della giustizia, dei medici e del mercato finanziario. Solo pochissime persone conoscono il significato di ‘derivati’ o di ‘credit default swaps’.

I banchieri hanno potuto derubarci restando nascosti dietro al muro del gergo. I legislatori che, si presume, abbiano il compito di vigilare sui banchieri, non capiscono il linguaggio di questi ultimi, com’è risultato evidente dalle recenti sessioni al Congresso sulla crisi. Ai grandi dirigenti della finanza, che testimoniavano davanti ai congressisti, hanno posto domande stupide e si sono superati a vicenda nell’esprimere la propria rabbia populista. I banchieri quindi si sono nascosti, ancora una volta, dietro al muro del gergo.

Quando le pagine economiche di un giornale diventano indecifrabili quanto una pubblicazione accademica occorre allarmarsi. George Orwell, ne ‘La politica e la lingua inglese’, ci aveva messo sull’avviso riguardo alla proliferazione del gergo, di un cattivo uso del linguaggio allo scopo di nascondere malefatte e tirannie. “Nel nostro tempo, i discorsi politici sono usati in buona parte per difendere l’indifendibile”, scriveva Orwell. Ai nostri giorni, se sostituiamo la parola ‘politici’ con ‘finanziari’, ecco che otteniamo un giudizio netto sul linguaggio della moderna economia.

È qui dunque che assumono un ruolo centrale scrittori e giornalisti. Noi siamo gli intermediari, gli interlocutori e nessun altro può svolgere questo ruolo. È una nostra responsabilità sfondare il muro del gergo, vale a dire, ascoltare gli esperti finanziari e tradurre i loro discorsi in inglese o in italiano a beneficio di chi non ne è esperto. È una nostra responsabilità trasmettere al pubblico in generale (con parole comprensibili) le deliberazioni dei ricchi e dei potenti, in modo che tutti siano in grado di esprimere un giudizio informato sul perché sono stati presi in giro e incastrati.

Così come Tolstoj scrisse sulle guerre napoleoniche, così i nostri romanzi dovrebbero capire e parlare delle guerre finanziarie del XX secolo. La nostra democrazia dipende da ciò: dal fatto che le persone comuni capiscano il linguaggio delle élite.

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