Obama's Challenge: Cyberwar on Terrorists

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Gli eserciti invisibili di hackers minacciano gli Stati Uniti e Barack Obama corre ai ripari varando un piano di sicurezza cibernetica in grande stile.

La Casa Bianca avrà un proprio «coordinatore per la cybersicurezza» che affiancherà il presidente nel gestire dalla West Wing tutte le iniziative utili «a proteggere le nostre attività online senza violare la privacy di nessuno» come ha spiegato Obama parlando nella East Room. E il Pentagono avrà una propria «war room cibernetica» che farà capo ad un generale a quattro stelle, insediato nel quartier generale della National Security Agency, la più segreta delle agenzie di intelligence. Lo «Zar» cibernetico della Casa Bianca e la «war room» digitale del Pentagono hanno il compito di proteggere l’America da tre tipi di intrusioni sempre più frequenti: gli attacchi da parte di entità ostili, lo spionaggio e le incursioni di hackers.

In aprile fu il «Wall Street Journal» a svelare il blitz con il quale «elementi ostili» erano riusciti a penetrare le rete elettrica, lasciandosi dietro programmi-killer pronti ad «esplodere» in qualsiasi momento accecando la nazione, e ieri Obama ha svelato che nel corso del 2008 avvenne anche di peggio quando dei «nemici invisibili» riuscirono a penetrare le difese del Pentagono «avvelenando» migliaia di computer militari ed obbligando i comandi a ridisegnare l’uso dei pc. «Anche la mia campagna elettorale è stata vittima degli hackers – ha aggiunto il presidente – ed abbiamo dovuto lavorare duro assieme a Cia, Fbi e agenzie di sicurezza per proteggere le nostre banche dati».

Il presidente indica tre esempi di pericoli per la cybersicurezza: Al Qaeda che ha più volte detto di voler mettere fuori uso i centri vitali degli Stati Uniti, cellule di terroristi come quelle che attaccarono Mumbai «scambiandosi messaggi vocali attraverso il web» potrebbero colpire e poi c’è il precedente della Georgia, che in coincidenza con l’invasione russa di questa estate fu vittima di un attacco talmente potente da obbligare la Nato a coniare il neologismo di «iWar». Se nei primi due casi di tratta di nuove versioni della minaccia terroristica il terzo apre una finestra su quanto attestano i documenti militari sulle più recenti aggressioni via-Internet contro gli Usa: gli indizi abbondano nei confronti di Russia e Cina perché sono loro siti a servire da trampolino per gli hacker più aggressivi e le spie più abili.

Il 28 marzo scorso partì da un server basato in Cina il blitz contro governi e società private in 103 Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, e negli anni precedenti da network cinesi e russi arrivarono ondate di attacchi classificate come «Titan Rain» e «Moonlight Maze». Ad aumentare i sospetti sulla Russia c’è anche l’aggressione cibernetica lanciata nel maggio 2007 contro governo, Parlamento, banche e giornali della repubblica baltica dell’Estonia con una metodologia tale da farlo oggi considerare una prova generale della «iWar» contro la Georgia. Pechino e Mosca hanno sempre respinto al mittente tali accuse, forti dell’impossibilità di rintracciare con assoluta sicurezza da dove parte un attacco lanciato attraverso il web e proprio questa caratteristica di invisibilità è stata la ragione che ha portato Obama a decidere di «proteggere la nazione che ha inventato Internet per affrontare una rivoluzione informatica che è solo iniziata». Come dire, le guerre del futuro potrebbero essere online ed è bene prepararsi a combatterle.

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