Obama, Many Problems

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Due guerre, l’Iran, la Corea, la crisi economica, quella dell’auto, i matrimoni gay, l’immigrazione…

Mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: “Risolveremo questo problema”. Il tenente colonnello Victor Fharenbach, un ufficiale dell’aviazione americana, si è sentito sollevato dopo questa promessa del presidente Obama. Ma la sua conversazione con il comandante in capo non aveva nulla a che vedere con le due guerre che gli Stati Uniti stavano combattendo. Obama stava semplicemente impegnandosi a modificare le politiche verso i gay nelle forze armate.

Qual è la più grande minaccia che il presidente deve affrontare? Un altro spettacolare attacco di Al Qaeda in territorio americano? Le guerre in Iraq e in Afghanistan? Il crollo del Pakistan o del Messico? Le armi nucleari della Corea del Nord o dell’Iran? Una nuova catastrofe economica a sorpresa? Un uragano del tipo Katrina che si abbatte su Miami? I militari gay? La lista è lunga.

George W. Bush ha lasciato a Obama una terribile eredità, dalle due guerre in corso al cattivo andamento dell’economia, a una miriade di altri problemi, ignorati (come il riscaldamento globale, ad esempio) o mal affrontati (come quello della Corea del Nord). Tutti esigono adesso un’attenzione immediata e gravosa. Fortunatamente Obama è salito al potere con molte buone intenzioni e un sostegno, all’interno e all’estero, di cui pochi altri presidenti americani prima di lui hanno goduto. Inoltre, ha messo insieme una équipe di professionisti molto rispettabili. Per cui, anche se i problemi sono enormi e innumerevoli, può affrontarli. Ma ci riuscirà?

Questa è la domanda inquietante che sempre più spesso ricorre nelle conversazioni fra chi sta addentro alle segrete cose a Washington. Nessuno dubita che gli manchi l’intelligenza e l’abilità politica per far fronte a molte crisi diverse. O che i suoi collaboratori siano competenti. Semmai, il dubbio è alimentato dal sempre più diffuso riconoscimento che la più grande minaccia per lui è la congestione. Il sistema è sovraccarico e non può reagire efficacemente a così tanti problemi complessi e diversi. Intendendo per ‘sistema’ non solo la Casa Bianca e i diversi ministeri (Difesa, Tesoro, Sanità, Sicurezza interna, ecc.), ma anche il Congresso. E quelli che sanno come funziona il Parlamento americano temono che Obama possa oberarlo sino a provocarne la paralisi. Travolto da problemi che vanno dagli incentivi all’economia alla riforma dei regolamenti finanziari, dalle leggi sul cambiamento climatico alla riforma dell’assistenza sanitaria. A cui si aggiungono quelli della chiusura di Guantanamo, della fuoriuscita dall’Iraq, dei matrimoni gay, dell’industria dell’auto, della riforma delle leggi sull’immigrazione e del più grande intervento pubblico della storia moderna. Troppo, dicono gli scettici, convinti che il Congresso non riuscirà ad affrontare un così ampio insieme di questioni tecnicamente complesse, socialmente sensibili e politicamente esplosive in modo tempestivo o efficace.

Questa congestione è in parte inevitabile. Come ha detto lo stesso Obama: “Vorrei potermi permettere il lusso di scegliere i problemi da trattare, ma è impossibile. Quali vorreste che ignorassi: l’Iran, l’economia, le due guerre in corso? Queste sono le carte che mi sono state passate e non ho altra scelta se non quella di affrontare tutte le crisi contemporaneamente. Non è una buona cosa, ma è la realtà”.

Questo è ovvio. Ma non è tutto. La Casa Bianca è convinta che sarà più difficile, se non impossibile, far approvare in seguito, in modo conforme all’indirizzo di Obama, quelle riforme che non riuscirà a varare quest’anno. Rahm Emmanuel, il capo di Gabinetto del presidente, ha rilevato, com’è noto, che la sua regola numero uno è “impedire a una crisi di avere effetti devastanti; (le crisi) sono delle occasioni per realizzare grandi cose”. George W. Bush e Dick Cheney hanno assentito, convinti della validità di questo principio, che hanno portato fino all’estremo limite: gli attentati dell’11 settembre hanno prodotto una crisi che grazie alla loro reazione non ha avuto conseguenze catastrofiche. Proprio per questo hanno potuto invadere l’Ira,q anche se Saddam Hussein non c’entrava niente con quell’attacco. Ciò spiega inoltre perché l’amministrazione Obama abbia tratto vantaggio dal clima di cambiamento creato dalla crisi economica per introdurre riforme che il sistema altrimenti non avrebbe sopportato. La soluzione della crisi non richiede pertanto nuove politiche riguardanti l’ambiente, l’assistenza sanitaria o l’immigrazione.

È molto probabile che non tutto il programma di Obama verrà adottato. Verranno commessi degli errori e alcune riforme saranno incomplete. Ma il presidente ritiene che questo sia inevitabile e sia comunque meglio di un approccio più graduale. Forse ha ragione. Ed è importante che sia così. Non soltanto per gli americani.

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