Per una malizia del caso, il presidente degli Stati Uniti è stato chiamato nello spazio di pochi giorni a fare i conti con la sua africanità, a destreggiarsi sul risicato sentiero che lo fa presidente di tutti. Aveva impressionato la sua esortazione ai connazionali di pelle nera perché si liberassero dal vittimismo, perché non attribuissero soltanto alla società – e non a una pigra rassegnazione – le loro disagiate condizioni: proponendosi come l’esempio vivente di una riuscita che in linea di principio è possibile a tutti. Ma ecco che si è trovato fra i piedi il «caso Gates», la vicenda di un illustre docente nero di Harvard, arrestato in casa sua da una pattuglia che lo aveva preso per uno scassinatore e non si era arresa all’accertamento della sua identità.
Sembrava una solenne smentita all’ottimismo egualitario di Obama, tale da frustrare la gente del ghetto. Di qui la sua accusa alla polizia di essersi comportata «stupidamente» con Gates, che tra l’altro è un suo amico, e la messa in guardia contro un razzismo che non è del tutto sconfitto in America. Ma ha dovuto fare marcia indietro davanti alle polemiche innescate dai conservatori e alle proteste unanimi dei corpi di polizia.
Quanto all’agente Crowley, indiziato di prevaricazione, sostiene che è legittimo il sospetto davanti a uno che, non riuscendo a far funzionare le chiavi, abbatte a spallate la porta di casa, e sono ineccepibili a termini di legge le manette per chi si ribella a un poliziotto apostrofandolo con l’epiteto di canaglia. «Lei non sa chi sono io», avrebbe detto un arrogante Gates a Crowley, inesperto di titoli accademici e sofisticati talk-show televisivi. Se fosse vero, l’episodio suggerirebbe paradossalmente una sorta di razzismo a rovescio, praticato nei confronti di un cittadino bianco di modesta condizione, meno dotato e incolto rispetto al nero che ha fatto carriera.
Sia come sia, Obama si è scusato con il poliziotto e lo ha invitato, insieme a Gates, alla Casa Bianca per un incontro di conciliazione. Hanno esagerato entrambi, è la conclusione assolutoria del presidente. Ma l’occasione, forse sbagliata, ha messo a nudo i tabù e le pulsioni latenti nelle vene dell’America, ha mostrato quanto sia difficile anche per il brillante Obama mettersi al riparo dai vetusti pregiudizi.
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