Per far sì che la civiltà umana abbia una reale possibilità di sopravvivere al cambiamento climatico, il presidente Barack Obama dovrà guidare una sorta di rivoluzione contro il modo in cui l’America affronta questa tematica. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il paese che contribuisce maggiormente all’inquinamento serra e sono storicamente responsabili di emissioni tre volte superiori a quelle della Cina (che oggi è il paese con il maggior numero di emissioni su base annua). Alla ormai vicina Conferenza internazionale sul clima che si terrà a dicembre a Copenaghen, in cui si negozierà il documento successivo al Protocollo di Kyoto, gli Stati Uniti dovranno impegnarsi a ridurre seriamente, immediatamente e senza ritardi le emissioni.
La legge Waxman-Markey sul clima, in attesa dell’approvazione del Senato degli Stati Uniti, è penosamente a corto del necessario. Se dovesse passare, entro il 2020 gli Stati Uniti dovrebbero ridurre le emissioni di un mero 1 per cento rispetto ai livelli del 1990. Il comitato Intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) ha dichiarato che sarebbero necessari tagli dal 25 al 40 percento.
C’è bisogno di un approccio molto più audace e Obama ha la visione e la capacità di persuasione per portarlo avanti.
Gli Stati Uniti dovrebbero lanciare un Green Deal, un Accordo Verde Globale: un programma d’impatto per iniziare rapidamente la transizione verso un’economia globale che sia elastica e sensibile alle tematiche legate al clima, vale a dire un’economia che emetta pochi gas serra e si protegga dall’inevitabile impatto del cambiamento climatico. Un Green Deal Globale sarebbe una vittoria sia politica che economica, in casa e all’estero. Un forte programma di investimenti verdi creerebbe posti di lavoro, stimolerebbe i profitti e le possibilità di investimento e aiuterebbe milioni di persone in tutto il mondo a riprendersi dalla crisi economica .
Come il New Deal di Franklin Delano Roosevelt degli anni ’30 e il progetto Apollo per la Luna di John Fitzgerald Kennedy degli anni ’60, un Accordo Verde Globale mobiliterebbe le risorse pubbliche e private dell’America con la stessa urgenza che si avverte in tempi di guerra.
Il governo spenderebbe di più, ma spenderebbe in maniera più saggia, spostando il finanziamento dei contribuenti da pratiche volte a peggiorare il cambiamento climatico – per esempio il copioso finanziamento di Washington a progetti legati al carbone e al petrolio – alle loro controparti verdi.
Le politiche che simultaneamente riducono le emissioni e rafforzano la resistenza, come piantare alberi e rigenerare terreni, dovrebbero essere una priorità assoluta.
Se Obama assumesse il comando, potrebbe trovare altri paesi interessati a seguirlo nella sua iniziativa. Simili idee sono state appoggiate dal primo ministro inglese Gordon Brown, che ha chiesto 100 miliardi di dollari l’anno per aiutare i paesi poveri a tagliare le emissioni e ad adattarsi al cambiamento climatico, e da cariche importanti dei governi tedesco e giapponese. A febbraio il segretario delle Nazioni Uniti Ban Ki-moon e l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore hanno fatto pressione sui governi del mondo affinché contrastino la crisi economica globale e hanno lanciato una ‘nuova economia globale verde’. Facendo notare che, per stimolarla, sarebbe prevista una spesa di 2.25 miliardi di dollari, Ban e Gore hanno pure spiegato che destinare questi fondi “alle infrastrutture a carbone e ai carburanti fossili sarebbe come investire da capo nei mutui subprime”.
Il presidente Obama ha appoggiato politiche interne allineate a un Green Deal Globale. Il pacchetto-stimolo approvato la scorsa primavera ha aumentato la spesa federale sull’energia solare, eolica e su altre forme di energia verde di tre volte rispetto al livello precedente. Ma stabilizzare il clima vuole anche dire che i governi devono interrompere il finanziamento di quelle attività che peggiorano la situazione. E su questo Obama ha una lunga strada da percorrere. I carburanti fossili continuano a ricevere circa il doppio dei sussidi federali rispetto alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica.
Non ci sarà un accordo sul clima a Copenaghen se paesi ricchi e paesi in via di sviluppo non troveranno un accordo. Ironia della sorte è che i paesi ricchi che hanno causato il problema sono ora nel mirino, a meno che Cina, India e le altre grandi economie in via di sviluppo comincino a loro volta a ridurre le emissioni. Per una ragione pratica e morale, saranno i paesi ricchi che dovranno pagare di più questo cambiamento; altrimenti, non se ne farà nulla. Se Obama guidasse il cambiamento, un Green Deal Globale potrebbe diventare un grido di richiamo: i paesi ricchi e i paesi poveri lascerebbero Copenaghen uniti e capaci di passare al verde alla massima velocità. Questo andrebbe fatto se vogliamo che i nostri figli ereditino un pianeta vivibile.
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