Barack, an Awkward Move

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Dopo il forte e ispirato discorso tenuto appena due giorni fa da Barack Obama al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, conclusosi con un voto unanime contro la proliferazione nucleare e a favore di un futuro disarmo atomico generalizzato, la scoperta di un nuovo sito nucleare clandestino iraniano è fonte di grave imbarazzo per l’amministrazione americana.

La sua esistenza suona infatti come una sfida beffarda non solo alle Nazioni Unite che avevano più volte esplicitamente vietato all’Iran di proseguire il proprio programma di arricchimento dell’uranio. Ma anche al nuovo corso ostentatamente intrapreso dal Presidente americano fin dal suo esordio. Ma la cosa ben più sorprendente è che il Presidente sarebbe stato informato dai suoi servizi di intelligence e, addirittura, dal suo predecessore Gorge W. Bush dell’esistenza di questa centrale segreta. Se così fosse, paradossalmente, la vera notizia non sarebbe più la scoperta della centrale clandestina, ma quella dell’occultamento della scoperta e del motivo e della tempistica della rivelazione. Tutta la dinamica degli eventi sembra quantomeno indicare che la Casa Bianca possa essere inciampata in una mano davvero malgiocata nel poker nucleare con l’Iran.

Esattamente come aveva fatto nelle primissime ore del suo mandato, anche due giorni fa Obama aveva abilmente modulato i toni delle sue parole: disponibilità alla trattativa e a perseguire la via diplomatica, ma anche un chiaro monito che l’America non avrebbe tollerato la politica del fatto compiuto da parte di Teheran. Nel giro di 24 ore, Obama aveva quindi delineato i punti di una strategia molto netta. Prima, in Assemblea Generale, aveva affermato la scelta americana a favore del «multilateralismo pragmatico» (perché neppure gli Stati Uniti possono più illudersi di risolvere da soli grandi sfide che riguardano tutti), contemporaneamente richiamando gli altri Stati a condividere lo sforzo collettivo per fare del mondo un posto migliore. Poi, in Consiglio di Sicurezza, il Presidente aveva parlato di una responsabilità comune rispetto al nucleare: che vincolava le potenze nucleari «legittime» a impegnarsi in favore di un disarmo generalizzato e tutti gli altri Stati a rinunciare a dotarsi di armi atomiche.

Al di là della nobiltà degli intenti, era difficile non cogliere nell’«uno-due» messo a segno dal Presidente – anche attraverso una esposizione personale, politica e mediatica cospicua e rischiosa – un chiaro monito affinché l’Iran o la Corea desistessero dall’andare oltre, mostrando loro un mondo, almeno in prospettiva, davvero compattamente contrario alle loro ambizioni. Ma se Obama era già a conoscenza della scoperta del nuovo sito clandestino iraniano, allora quel voto unanime che sembrava essere stato un successo per Obama e per il suo ennesimo «avvertimento preventivo» all’Iran diventa un pasticcio o, quantomeno, un vincolo in più per una strategia che di vincoli ne ha già fin troppi. Proprio il clamore del successo ottenuto sulla 1st Avenue costringe il Presidente a una posizione più intransigente, ne erode gli spazi di manovra, consuma ulteriormente il poco tempo ancora a disposizione per cercare di trovare una soluzione, che tutti sanno bene potrebbe persino non esistere. In una parola, accresce la gravità di una crisi che, già da sola, rischia di portare il Medio Oriente (e non solo) sull’orlo del baratro. Per il momento Obama ha ottenuto la solidarietà occidentale, tanto importante quanto scontata. Ma rischia di veder naufragare l’importante progetto appena inaugurato al Palazzo di Vetro, che mirava a portare gradualmente anche la Cina e la Russia tra i favorevoli all’eventuale inasprimento delle sanzioni contro l’Iran. Figuriamoci poi quali conseguenze si potrebbero determinare nel mondo arabo e islamico, dove, l’eventuale maldestra mossa americana verrebbe subito interpretata come l’ultimo dei tanti complotti, e così bruciare le caute aspettative suscitate da Barack Obama nel suo brillante discorso del Cairo, appena pochi mesi fa.

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