A ‘Health’ Nobel for Obama

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La consegna del Nobel per la Pace al presidente Obama, impegnato in una riforma sanitaria che possa garantire pari accesso alle cure a tutti i suoi concittadini, è un’occasione per riflettere sul tema del diritto alla salute nel mondo. Il Nobel è un riconoscimento politico. Il suo valore nel tempo dipende da come, chi lo ha ricevuto, accetti di indossarlo. Si può uscire dal grande salone di Oslo col passo di chi si sente ammesso nel «salotto buono» di una leadership morale globale. Oppure si può decidere di investire la notorietà e la forza che da esso deriva per orientare i riflettori su un tema privilegiato della propria missione politica e sociale.

Nel 1999 Medici Senza Frontiere utilizzò visibilità e contributo economico del Nobel per la Pace per lanciare la «Campagna per l’accesso ai farmaci essenziali», concentrando gli sforzi su uno dei fattori, il più misurabile in termini economici e medici, che condizionano l’accesso alle cure: i farmaci. Non è mai stata una campagna contro qualcuno, ma quando su questa strada qualche meccanismo – organismi e regolamentazioni internazionali, interessi economici delle case farmaceutiche, politiche dei Paesi più sviluppati – si frapponeva come ostacolo, MSF non ha esitato a evidenziarlo e a proporre un’alternativa. Faceva uno strano effetto pochi giorni fa, durante il convegno a Milano «Diritto alla Salute. Modelli organizzativi e accesso alle cure», ascoltare alcuni di quegli stessi attori (rappresentanti di organismi internazionali, accademie, case farmaceutiche) mentre illustravano il loro contributo alla causa del diritto fondamentale alla salute sostenendo argomenti che anni prima avevano combattuto. In particolare, l’adattamento ai diversi contesti socio-economici delle linee guida terapeutiche e dei protocolli di trattamento, la differenziazione dei prezzi delle prestazioni mediche e delle medicine, la critica ai programmi di ristrutturazione della spesa sanitaria nei Paesi in via di sviluppo.

Quando nei Paesi più ricchi venivano conseguiti considerevoli progressi in tutti i settori della salute, nei nostri terreni di intervento nel Sud del mondo, invece, si faticava a rispondere efficacemente alle epidemie. La produzione di certi farmaci era abbandonata perché non veniva ritenuta redditizia, come nel caso della malattia del sonno. Altri prodotti avevano perduto il loro potere terapeutico a causa delle resistenze sviluppate dai parassiti, fu il caso della malaria. Per la tubercolosi, protocolli di cura troppo vincolanti hanno favorito la comparsa di forme di resistenza della malattia. Ricerca e sviluppo per individuare nuovi trattamenti sono inadeguati su tutti questi fronti. Il ricordo del «nostro» Nobel fregia il logo di MSF, e la campagna che ne ha beneficiato è più attuale che mai. Perché molte barriere sono ancora da superare per giungere a un reale accesso alle cure per tutta la popolazione mondiale. E’ ancora aperto il capitolo dei nuovi antibiotici e degli antivirali contro l’Aids, finanziariamente inaccessibili per le popolazioni più colpite. Sei milioni di persone sieropositive non sono ancora in terapia antiretrovirale e sono a rischio la possibilità di accesso ai farmaci di seconda linea e le formulazioni pediatriche.

Chissà che il Nobel a Obama possa porre l’attenzione sul diritto alla salute, non solo per i suoi concittadini, ma anche per quei milioni di persone per cui tale diritto è ancora un miraggio. Ciò non sarebbe lontano dalla nostra battaglia decennale per l’accesso universale alle cure mediche. Perché il diritto a essere curati non resti un diritto negato per i più vulnerabili. Ovunque.

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