Edited by Jessica Boesl
Molte persone, di fronte ad eventi scioccanti, si lasciano sedurre da quella che gli studiosi hanno descritto come la teoria della cospirazione. Nella definizione di Popper, è «la concezione erronea secondo cui, tutte le volte che accade qualcosa di male, questo deve per forza essere imputato alla volontà perversa di una potenza malvagia». Gli esempi si sprecano. Il più clamoroso è quello degli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle di New York e al Pentagono. I complottisti si sono scatenati e continuano a produrre le loro tesi fantasiose per dimostrare che dietro quelle efferate azioni del terrorismo internazionale di matrice islamica vi era in realtà il Governo degli Stati Uniti.
Da dove viene questa tendenza? Quali ne sono le ragioni profonde? Perché anche oggi fa così presa?
In un libro collettaneo di qualche anno fa proprio sull’11 settembre (La cospirazione impossibile), Umberto Eco, in un breve e illuminante testo intitolato La sindrome del complotto, argomenta che «la psicologia del complotto nasce dal fatto che le spiegazioni più evidenti di molti fatti preoccupanti non ci soddisfano, e spesso non ci soddisfano perché ci fa male accettarle».
Già Hannah Arendt, nel suo magistrale Le origini del totalitarismo, avvertiva che le masse «non credono nella realtà del mondo visibile, della propria esperienza; non si fidano dei loro occhi e orecchi, ma soltanto della loro immaginazione, che può essere colpita da ciò che è apparentemente universale e in sé coerente».
Teorizzare un complotto, una cospirazione di potenze malvage dietro fatti che colpiscono, è offrire all’immaginazione delle persone risposte più soddisfacenti di quelle date prosaicamente dalla descrizione nuda e cruda della realtà. Un supposto disegno occulto affascina la mente umana molto più che la semplice casualità quale chiave di interpretazione degli eventi.
Lo si è visto negli scorsi giorni sia per l’aggressione di uno squilibrato contro Silvio Berlusconi, sia per quella, pure di una squilibrata, contro il Papa. Nemmeno in queste circostanze i complottisti si sono trattenuti. Le moderne tecnologie (vedi Internet) consentono di insinuare facilmente dubbi e sospetti nei fruitori di informazioni: basta un’abile manipolazione o anche soltanto una lettura suggerita, guidata, di alcune immagini per costruire teorie cospirazioniste che prevalgono sull’osservazione fredda e distaccata dei fatti.
Nemmeno il mancato attentato di Natale sull’Airbus della Delta Air Lines in volo da Amsterdam a Detroit è sfuggito a questo genere di attenzioni. Alcuni analisti hanno avanzato dubbi, in considerazione del fatto che il nome del maldestro terrorista della scuola di al Qaeda figura negli elenchi USA delle persone sospette. Il che è vero, ma con un piccolo particolare che tanto piccolo non è: gli elenchi contano la bellezza di 550.000 individui, per cui è del tutto verosimile che uno di essi possa filtrare tra i controlli, oggi peraltro allentati, senza far scattare alcun allarme.
Fortunatamente, le moderne tecnologie permettono anche di smascherare le teorie complottiste. Ci vuole però qualcuno che si impegni nel verificare ogni «informazione» e ogni tesi e nel trovare le spiegazioni vere, smontando quelle costruite ad arte, false, finalizzate a dimostrare la validità della teoria della cospirazione. Il confronto a distanza, anche e soprattutto su Internet, tra i complottisti e gli anticomplottisti dell’11 settembre è una vera e propria scuola per capire quali siano i rischi oggi legati all’informazione in una società che è costantemente bombardata da informazioni.
Un paio di settimane fa i teorici della cospirazione, cioè i sostenitori della tesi secondo cui gli attentati dell’11 settembre sarebbero in realtà stati voluti dagli stessi Stati Uniti, hanno creduto di trovare una nuova prova delle loro tesi in alcuni dati provenienti dalla scatola nera dell’aereo che era piombato sul Pentagono. Il caso è interessantissimo, poiché evidenzia bene i meccanismi che possono indurre molte persone in buona fede a credere più all’immaginazione che ai propri occhi.
I dati della scatola nera del volo 77 indicherebbero che non sono state registrate aperture né chiusure della porta di accesso alla cabina di pilotaggio dell’aereo; l’indicazione registrata è infatti «closed». La porta sarebbe così rimasta chiusa per tutto il volo, per cui nessun terrorista avrebbe potuto accedere alla cabina. Chi dunque ha pilotato l’aereo contro il Pentagono? Di fronte a tale dato, l’immaginazione inizia a correre: ognuno può sbizzarrirsi come meglio crede.
Ma qual è la realtà vera? Lo hanno spiegato molto bene il sito degli anticospirazionisti undicisettembre e quello del cacciatore di bufale Paolo Attivissimo Il disinformatico (che tutti noi dovremmo regolarmente consultare per capire come stanno veramente molte cose).
I dati relativi alla porta di accesso alla cabina di pilotaggio per il volo 77 sono elencati tra i parametri non funzionanti. Perché? Perché, molto semplicemente, sul modello di aereo in questione (un Boeing 757 costruito nel 1991) non erano montati i sensori della porta d’accesso alla cabina dei piloti. I sensori sono stati montati solo nei modelli costruiti a partire dal 1997. Per questo l’apertura della porta della cabina non poteva essere segnalata: non c’era il sensore. E in tal modo la cabina figurava costantemente chiusa, anche quando non lo era. Lo stesso dato «closed» figura infatti per i voli precedenti del medesimo aereo: circa 40 ore di volo senza che la porta della cabina di pilotaggio risultasse mai aperta, proprio perché non c’era il sensore che rilevava le aperture.
L’informazione data dai complottisti dell’11 settembre, grazie alla controinformazione degli anticomplottisti, si è così rivelata per quello che in realtà è: una clamorosa bufala. Ma intanto, gettata nella rete e ripresa da molti, ha diffuso nuovi sospetti.
Chi avesse la pazienza di analizzare tutte le informazioni sull’11 settembre, prenderebbe atto che di casi come questi ve ne sono centinaia e centinaia e che nessuna interpretazione complottista regge alla prova dei fatti. Eppure i fautori di questa teoria, a più di 8 anni dagli eventi, non si danno per vinti.
Quante altre «informazioni» oggi diffuse a livello mondiale, ma anche locale (si pensi ai presunti avvistamenti di oggetti extraterrestri alle nostre latitudini) sono anch’esse bufale, cioè notizie false, diffuse con secondi fini e non allo scopo di informare correttamente la popolazione? Sicuramente tante, troppe. L’antidoto è uno solo: attivare lo spirito critico, dubitare, non prendere per oro colato tutto ciò che luccica, andare a verificare, sentire sempre un’altra campana. Un esercizio difficile e impegnativo per i professionisti dell’informazione: figuriamoci per le persone che non producono informazioni, ma le ricevono soltanto, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.
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