The Archetype of the Pig

<--

Una vecchissima e rozza barzelletta da maschietti fra i 10 e i 90 di età, raccontava del paziente ansioso che spiega al medico il suo timore di essere ermafrodito, di possedere cioè contemporaneamente organi maschili e femminili. Dopo accurata ispezione, il dottore, perplesso, chiede: “Mi perdoni, ma io non vedo proprio alcun genitale femminile, dove sarebbe?”. Sempre qui, nella mia testa, risponde il paziente, battendosi la fronte. Versione pecoreccia di una massima diffusa fra la popolazione femminile e riassunta nella formula del “tutti gli uomini sono maiali”, la barzelletta è assurta ai trionfi della cronaca internazionale con il caso del golfista afro-asiatico Tiger Woods, tornato al suo sport in aprile dopo una brutta malattia. Anche chi non si interessa di golf, o chi, come me, l’ha dovuto abbandonare a malincuore ricavandone una fulminante ernia del disco dopo essersi attorcigliato come un vitigno nel tentativo di colpire la minuscola pallina con una lunghissima mazza, è stato costretto a seguire il dramma di questo favoloso campione, preso, appunto, a mazzate, dalla gentile signora pluritradita. Secondo gli ultimi sondaggi, il numero di cameriere (le sue preferite) conoscenti occasionali, rimorchietti da bar, pornostar etc etc con le quali la Tigre di nome e di fatto aveva giaciuto (e mica sempre, a volte amoreggiava “in pè” contro le auto parcheggiate) è per ora di venti. Una bella bacheca di trofei. Tiger Woods sarebbe l’archetipo del “porco” e alcuni dettagli ripugnanti dei suoi, diciamo così, amori, che vi risparmio, rafforzerebbero la definizione. Ma nell’America di oggi, questi rozzi giudizi non hanno più cittadinanza. Collezionare sveltine, alcune delle quali mentre la bellissima signora era in attesa finale del suo secondo figlio, è considerata una malattia, come la polmonite, l’osteoporosi, l’influenza, forse in questo caso effettivamente suina. Passato di moda il diavolo come primo motore di tentazioni e di vizi, oggi scolare bottiglie di liquore, imbottirsi la faccia di hamburger con patatine fritte e frappé, sbattere cameriere contro un’auto parcheggiata, sono “sindromi”, patologie, dipendenze. Il nostro tigrotto è un “sessodipendente” clinico, uno – si potrà dire, dottore? – “scopainomane”, trattato e, pare, guarito, in una clinica per arrapati con antidepressivi e molecole come la clomipramina che hanno tra gli effetti secondari quello di far vedere doppio. Si ipotizza che, vedendo due donne alla volta, l’incertezza sul bersaglio calmi gli ardori. La grossolana barzelletta si rivela una profonda intuizione clinica, anche se rimangono dubbi sulla epidemiologia, la sintomatologia e sui possibili fattori scatenanti. È contagiosa? Quanto è diffusa la sessodipendenza? Come si manifesta? Vi sono persone immuni o soltanto portatori sani, “porci” in potenza ma nella impossibilità concreta di esprimersi essendo bruttini o sfigati? Guadagnare 100 milioni di dollari l’anno, come Tiger, aggrava le condizioni del paziente, esposto a una carica virale continua di signore e signorine generosamente disposte a lenire i suoi sintomi? Ne soffrono anche le femmine o sono sempre soltanto bersagli incolpevoli? E come si verifica la guarigione? Si chiude il paziente in una stanza da letto con sette svergognate ignude, come i santi eroici del martiriologio cristiano antico, osservando se lui le concupisce o invece le ignora per seguire un documentario storico alla televisore? L’essenziale è che la medicina abbia finalmente dato ai poveri pazienti maschi la risposta definitiva alle loro compagne stizzite. Sono malato, tesoro. Non si può prendere a mazzate un marito con 40 di febbre e la polmonite. Sarebbe disumani spaccare un piatto (da portata) in testa a un fidanzato sofferente di cuore. Due pilloline, una settimana in centro di riabilitazione per gli afflitti da questa tremenda (ma non sgradevole) patologia e tutto torna sereno. Lo sapevo che avrei dovuto insistere con il golf, disco o non disco.

About this publication