Larry King and the Decline of Traditional Media

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Ha fatto 25 anni nella stessa sedia, nella stessa serata, nello stesso palinsesto, e ha portato a casa 40 mila interviste guardate e ammirate (o odiate) in tutto il mondo, da Bill Clinton a Lady Gaga, da Michelle Obama, a Dolly Parton. Ma neppure questa immane fatica lo avrebbe atterrato, alla sua tenera età, se non fosse stato per lo share, quel numerino che indica la percentuale di spettatori fra quelli che guardano la televisione in quel momento che guarda solo te. Numero magico, cui sono legati carriere e contratti, e che per Larry King negli ultimi anni è stato il termometro del suo lento declino.

Più che a un vecchio leone, il saluto a Larry e alle sue bretelle, è infatti l’addio a una formula, a un tipo di intervista, a un’era della comunicazione tv. Non morirà con lui infatti lo spazio da lui creato: ma finisce con lui quel tipo di colloquio gentile, ironico, mai puntuto, in ogni caso generico, che erano le sue interviste, indicazione di un’epoca in cui la tv parlava a tutti, doveva arrivare a tutti e farsi capire da tutti.

La conclusione della carriera di Larry King viene alla fine di un lungo periodo di trasformazione della televisione in Usa, e ne segna probabilmente la conclusione di un’era. Per quanto poco se ne parli, in effetti, questo percorso somiglia molto più di quel che si pensi all’evoluzione in corso nella carta stampata. I due grandi media della modernità, in maniera pur così diversa, negli ultimi vent’anni hanno avuto la stessa vicenda: sono passati dall’essere giganti dominanti della formazione della grande opinione pubblica, a giganti lentamente erosi dalla competizione, la dispersione, la molteplicità, e la creatività di tanti altri media.

Così come la carta stampata ha perso il suo monolitico controllo di mercato e copie, a favore di Internet, così la tv generalista e il suo gigantismo si sono frammentati nei tanti rivoli dei molti modi con cui la tv si costruisce e si fruisce, cable, web, satellite, digitale. Questo passaggio non è tuttavia solo un fatto tecnologico, ma è la evoluzione stessa della società, del modo in cui parla di se stessa, e in cui si percepisce e si costruisce.

Il c’era una volta dei media a cui Larry King appartiene, era un mondo in cui alcuni giganti, il cui numero stava ampiamente nelle dita delle due mani, rappresentavano il pinnacolo della informazione. Washington Post, New York Times, Los Angeles Times, Wall Street Journal e i network tv Cbs, Abc, Nbc costituivano la spina dorsale del formarsi della opinione pubblica americana. Una loro parola faceva e disfaceva presidenti. I loro giornalisti vincevano e perdevano le guerre. Era questo il sistema mediatico che poteva decidere di non dire nulla dell’invasione di Cuba, su richiesta del presidente Kennedy, e il pubblico (come accadde) non lo avrebbe mai saputo se non a cose fatte. Era quel sistema mediatico in cui un unico giornalista, Walter Cronkite, poteva divenire «l’uomo di cui l’America si fida di più» e il cui commento sulla guerra in Vietnam, nel ‘68 portò il presidente Lyndon Johnson a dire: «Se ho perso Cronkite, ho perso la maggioranza degli americani».

Erano gli anni in cui chi scriveva o chi andava in tv poteva formare i giovani e ispirare progetti. I loro nomi non erano infatti carriere, ma stelle del firmamento. Come David Brinkley del «Huntley e Brinkley report» degli Anni Settanta e poi di «This week with David Brinkley»; o come Mike Wallace del celebre «60 minutes» e, ancora Dan Rather inviato e anchor per eccellenza.

Era un sistema piramidale, in altre parole, come a lungo sono state le nostre democrazie.

Quel sistema piramidale è stato sconvolto dai nuovi media – che è poi soprattutto il web in tutte le sue forme. Il web ha direzioni esattamente diverse da quel sistema. E’ orizzontale nella diffusione, e va dal basso verso l’alto nella sua «infezione». Chi parlava allora non aveva bisogno di altro che della sua eco. Oggi Internet replica, discute, e, soprattutto, si sottrae alla piramide.

Questo sta succedendo alla carta stampata, e questo sta succedendo anche alla tv.

I giganti di una volta sono in affanno. Perdono copie, e spettatori, ma soprattutto soffrono di non essere più in totale controllo del mondo intorno. Oggi non ci sono più giornalisti giganti, ma tante voci – e spesso quel che conta è l’individualità di queste voci più che la loro gravitas. E’ il caso del maggior successo tv di questi ultimi anni che è la Fox Tv.

Nella nuova parzialità di protagonisti e di esperienze mediatiche si rispecchiano però anche aggregazioni di società diverse. Oggi il riconoscersi in gruppi, comunità di interessi è spesso più forte della cittadinanza generica. Di sicuro più forte del rispetto dell’ordine piramidale di una volta. E questo non è necessariamente un male.

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