Obama, Fear Comes from the South

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Il presidente americano schiera migliaia di uomini al confine con il Messico. Dove i cartelli della droga controllano il territorio e preparano il salto di qualità verso il terrorismo.

Il piano è riuscito alla perfezione e Ciudad Juarez, città messicana che si trova dirimpetto a quella americana di El Paso, ha cominciato a vivere un nuovo incubo. I gangster del cartello di Juarez hanno imbottito un’automobile di oltre dieci chili di esplosivo collegati a un telefono cellulare trasformato in innesco. Poi, hanno rapito un uomo, lo hanno costretto con la forza a indossare una divisa da poliziotto e gli hanno sparato soltanto per ferirlo. Quindi, hanno obbligato la loro vittima a entrare nella macchina carica di esplosivo e hanno telefonato al più vicino commissariato denunciando un conflitto a fuoco con un agente ferito dai trafficanti di droga.

I fotogrammi successivi dell’azione mostrano l’arrivo di un paio di Suv della polizia federale, di un’autoambulanza e di giornalisti e operatori di una televisione locale. L’uomo ferito gridava e chiedeva soccorso, mentre agenti, infermieri, cronisti, operatori e curiosi si avvicinano all’auto. Una grande fiammata, un boato, la bomba fatta esplodere da lontano con il cellulare. Sul terreno quattro morti e una dozzina di feriti. Eccolo il Messico della guerra tra governo e narcos che dal 2006 ha lasciato sul terreno quasi 25 mila morti. Da giovedì 15 luglio alle imboscate, alle rappresaglie a colpi di mitra, agli omicidi mirati, ai poliziotti onesti uccisi davanti casa esattamente nello stesso modo di quelli corrotti, agli avversari rapiti, torturati, filmati e poi decapitati o impiccati al ponte più vicino si è aggiunto il terrorismo delle auto bomba. Terrore come in Iraq o in Afghanistan, ma cucinato in salsa messicana con l’idea mai vista prima dell’esca viva e ferita per attrarre l’avversario.

Perché i narcos abbiano scelto di alzare il livello dello scontro non è ancora del tutto chiaro. A Ciudad Juarez, metropoli dove basta attraversare un ponte per essere negli Stati Uniti, la destinazione finale della maggior parte delle spedizioni di droga dei cartelli messicani, i trafficanti non vogliono interferenze nella loro attività. Il governo ha schierato la polizia federale e l’esercito a pattugliare le strade? E loro rispondono con l’auto-bomba per creare un clima di terrore, per dire senza sottintesi siamo pronti a fare di Ciudad Juarez la Baghdad o la Kabul del Centro America. Il solo possibile paragone è con la Colombia degli anni Ottanta quando il cartello di Medellin usò il terrorismo ed arrivò a far esplodere una bomba su un aereo in volo per ritorsione contro la decisione di estradare alcuni criminali negli Usa. Dunque, la trappola bomba dice a chiunque, a cominciare dalle forze di sicurezza, di stare lontano dai traffici dei cartelli, di restare al sicuro nei commissariati o nelle caserme. I loro affari sono miliardari: secondo le ultime stime della Drug Enforcement Agency americana il fatturato annuo dei narcos oscilla tra i 18 e i 39 miliardi di dollari.

Il messaggio è diretto anche al presidente Felipe Calderon, che quattro anni fa, appena eletto, dichiarò guerra ai cartelli, per fargli sapere che i suoi sforzi non scalfiscono il potere del crimine organizzato. Ogni salto di qualità nella violenza criminale della guerra che si combatte all’interno del Messico si porta dietro una scia di interrogativi. Il denominatore comune nel modo di agire dei membri dei cartelli è che la violenza deve essere totale e senza freni morali, basterebbe ricordare che all’inizio dell’escalation le sei teste mozzate di altrettanti gangster furono conficcate su una cancellata davanti a un commissariato nella turistica Acapulco.

Non ha altra logica se non quella della esibizione di violenza allo stato puro l’azione da commando militare messa a segno l’ultima settimana di giugno a Gomez Palacio, nello stato di Durango. In piena notte, uomini armati sono entrati in un centro di riabilitazione per tossicodipendenti e hanno aperto il fuoco. Risultato, nove morti. Quale era l’obiettivo? Risposte certe nessuna, solo ipotesi. Che tra i presenti ci fosse qualche rivale di un’altra gang. O che la caccia fosse a qualche informatore reclutato dalla polizia tra i tossicodipendenti. O ancora, un messaggio per dire che era inutile nascondersi in un centro di cura per sfuggire all’arruolamento forzato nei cartelli. Tanto la morte è sempre dietro l’angolo.

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