The Steer America Needs

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La Federal Reserve ha dovuto ammettere ieri quello che ormai stava diventando chiaro a tutti gli osservatori dell’economia americana: la ripresa ha perso fiato e i dati che provengono dai mercati sono preoccupanti. Insomma, son problemi seri.

Da un lato, non si può certo argomentare che la politica economica sia con le mani in mano: la politica monetaria della Fed è fortemente espansiva e di conseguenza l’economia americana nuota nella liquidità; e l’enorme stimolo di politica fiscale varato l’anno scorso prevede ancora spese per centinaia di miliardi di dollari quest’anno. Ma ciononostante non si intravedono spinte inflazionistiche e l’economia rimane anemica, come in stallo, con un tasso di disoccupazione che non accenna a diminuire. A osservare il mercato del lavoro più da vicino la situazione non migliora affatto: non solo la disoccupazione è stabile, ma si nota un significativo aumento della disoccupazione di lungo periodo, che grava drammaticamente soprattutto sulle famiglie di classe media. La disoccupazione è a più lungo periodo, tipicamente, quando il mercato del lavoro passa attraverso una fase di aggiustamento e riconversione: i settori potenzialmente in crescita non trovano manodopera qualificata, mentre altri settori riducono significativamente la domanda di lavoro.

Ad esempio, il mercato richiede infermieri e infermiere mentre si ritrova con un eccesso di muratori e falegnami. Vari indicatori della domanda di lavoro per settore (ad esempio il rapporto tra il numero di annunci di lavoro posti dalle imprese e il tasso di disoccupazione) sembrano confermare questa ipotesi, e cioè che l’economia americana sia nel mezzo di una difficile riconversione industriale, che la rallenta.

Ma non è tutto qui. La lentezza della ripresa deriva anche dall’insuccesso della politica fiscale i cui effetti di stimolo paiono essere stati tutto sommato molto ridotti. In parte questo insuccesso è dovuto ad una non efficiente distribuzione della spesa. Ad esempio, gli interventi di spesa in infrastrutture non hanno contribuito ancora significativamente alla ripresa perché essi tendono ad avere effetti ritardati, nonostante le rassicurazioni dell’amministrazione che dichiarava di avere scelto progetti «pronti allo scavo» (shovel-ready). Ma soprattutto, la politica fiscale tende ad avere effetti estremamente ridotti quando le famiglie e le imprese temono un incremento della pressione fiscale a breve termine. Purtroppo questo è esattamente il caso negli Stati Uniti. Tutti si aspettano un aumento delle tasse dopo le elezioni per il rinnovo del Congresso e del Senato il prossimo novembre. L’aumento della pressione fiscale è reso abbastanza inevitabile dalla situazione del bilancio pubblico, che risente delle spese militari relative alle due guerre dell’era Bush e delle esplosive proiezioni di spesa per sanità e pensioni relativamente al prossimo decennio. Per quanto l’amministrazione Obama abbia in gran parte ereditato questa situazione di bilancio, essa è responsabile di non averne fino ad ora compresa la gravità. A tal punto l’amministrazione ha sottovalutato i problemi di bilancio che per mesi essa ha spinto il Congresso a «sfruttare la crisi» per iniziare ad instaurare un sistema di welfare di cui il Paese ha bisogno nel medio periodo ma che invece rischia di indurre una crisi, ora, nel momento in cui il Paese può meno sopportarla. Enorme errore questo, che ha portato il Congresso a non potere approvare nuovi sussidi alla disoccupazione di lungo periodo di cui il mercato del lavoro ha disperatamente bisogno.

Se, come credo, le ragioni della lentezza della ripresa sono in parte strutturali e in parte dovute alle aspettative di un prossimo inasprimento fiscale, alla politica monetaria rimane poco spazio di manovra.

L’annuncio di ieri sui tassi era dovuto e sostanzialmente atteso. Certamente la Fed tornerà a quella politica di «quantitative easing» che ha avuto notevole successo nelle prime fasi della crisi: acquisterà cioè titoli a medio periodo con l’obiettivo di abbassare l’intera struttura dei tassi, non solo quelli a breve sotto il suo diretto controllo. Cercherà anche di ingenerare aspettative espansive facendo intendere che non alzerà i tassi al minimo avviso di inflazione. Ma tutto questo non può che avere ora effetti di secondo ordine.

Anche un eventuale nuovo stimolo fiscale, di cui sempre più insistentemente si parla, avrà effetti scarsi se prima non si risolvono i problemi di bilancio, specie quelli gravissimi riguardanti la spesa sanitaria pubblica per gli anziani (Medicare). Purtroppo non è concepibile che questo avvenga prima delle elezioni, che già si dimostrano in salita per il partito democratico. In vari casi, da Reagan a Clinton, i risultati delle elezioni di rinnovo del Parlamento hanno indotto il Presidente a un notevole cambiamento di rotta politica. Aspettiamo con ansia.

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