America’s Falling Infrastructure

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Infrastrutture – I problemi causati da una rete di servizi spesso obsoleta

Dai ponti alle dighe alle ferrovie

Così l’America si scopre fragile

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

NEW YORK – A quasi cinque mesi dalla catastrofe ambientale della BP e a cinque anni esatti dall’uragano Katrina, l’esplosione di un’altra piattaforma torna a seminare il panico nel Golfo del Messico. Anche se le cause della deflagrazione restano da chiarire, l’America si ritrova, ancora una volta, a fare i conti con la fragilità delle proprie infrastrutture. Ponti, autostrade, centrali elettriche e ferrovie più da Paese in via di sviluppo che da prima Superpotenza economica e strategica del pianeta.

L’incidente di ieri è solo l’ultimo di una lunga serie di disastri «più umani che naturali», come li definisce il noto opinionista del New York Times Bob Herbert, secondo il quale «se abbiamo perso New Orleans è proprio a causa di un sistema di dighe e chiuse inadeguato».

L’ultima emergenza risale allo scorso 23 agosto, quando un incendio scoppiato nei pressi della stazione ferroviaria di Jamaica, nel quartiere newyorchese di Queens, ha paralizzato per ben quattro ore oltre 100.000 pendolari della Long Island Rail Road, creando per tutta la settimana gravi disagi ad altri 600 mila utenti della maggiore linea ferroviaria degli Stati Uniti.

La lista è interminabile. Dall’esplosione della centrale elettrica di Middletown, in Connecticut, che lo scorso febbraio provocò 5 morti e 27 feriti, alla nevicata del dicembre 2009, che causò blackout nel Kentucky, Maryland, Virginia, West Virginia e Delaware con danni ingentissimi anche nel North Carolina, Ohio, Pennsylvania.

Una delle sciagure ancora vivenella memoria del Paese è il crollo del ponte 9340 che connette le

Il ponte crollato a Minneapolis (Ap/Gash)

Il ponte crollato a Minneapolis (Ap/Gash)

due sponde del fiume Mississippi a Minneapolis: nelle sue otto corsie, il primo agosto 2007, trovarono la morte 13 persone mentre 145 furono gravemente ferite.

«L’America sta cadendo a pezzi», scrive James Follows in un lungo e dettagliatissimo articolo su The Atlantic che denuncia la disastrosa situazione delle infrastrutture negli Stati Uniti. «Le dighe americane hanno un’età media di 50 anni, più del 26% dei ponti del Paese ha deficienze strutturali o è obsoleto», punta il dito il giornalista, «per non parlare degli acquedotti, le cui perdite raggiungono gli 80 litri d’acqua per ogni americano al giorno».

Lawrence Summers, Direttore del White House National Economic Council di Obama, è stato tra i primi a denunciare questo degrado iniziato con la deregulation dell’amministrazione Reagan e proseguito con i tagli alle spese pubbliche decretati da Bush padre e figlio. «Il 75% delle scuole pubbliche degli Stati Uniti ha carenze strutturali», dichiara Summers, «i porti, le fognature e l’acqua potabile hanno problemi. Ignorarli – ha aggiunto – significa mettere in pericolo la sicurezza pubblica e diminuire la competitività economica».

Il presidente Obama ha risposto all’appello quando ha annunciato che devolverà una fetta considerevole dei 900 miliardi di dollari del pacchetto di stimolo all’economia proprio a lavori di restauro e ammodernamento della struttura del Paese. «Abbiamo un’opportunità straordinaria di creare nuovi posti di lavoro su larga scala», afferma Obama, che alla vigilia delle elezioni di medio termine deve fare i conti con l’ostracismo dei repubblicani a qualsiasi tipo di investimento pubblico.

La strada per l’amministrazione Obama è tutta in salita. Ristrutturare i ponti costerebbe 17 miliardi di dollari l’anno: più del doppio dei fondi attualmente stanziati. E aggiustare gli acquedotti significherebbe investire 11 miliardi in più di quanto attualmente previsto. «La verità è che l’America sta perdendo la sfida», scrive Herbert, «la Cina sta costruendo un sistema di 42 linee ferroviarie ad alta velocità mentre noi non abbiamo ancora costruito la prima».

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