Christine and the Tea Party Generation

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No al sesso, alle tasse e a Obama: i comandamenti della nuova opposizione Usa

Ha per modello modello Sarah Palin e Hillary Clinton, le battaglie preferite sono contro masturbazione e tasse, accusa Obama di essere «socialista» e nell’armadio ha scheletri a volontà: Christine O’Donnell è la candidata dei Tea Party che vinto a sorpresa in Delaware le primarie repubblicane per il Senato esprimendo posizioni che sommano fede e rigore fiscale.

Nata nel 1969 in New Jersey in una famiglia italo-irlandese di fede cattolica, O’Donnell confessa di aver vissuto la «svolta» al college quando dopo «molto alcol e sesso con ragazzi di cui mi importava poco» scopre l’astinenza sessuale e l’interpretazione letterale della Bibbia, diventando evangelica. Il debutto in politica, negli anni Novanta arriva sotto le bandiere della fede: fonda la «Savior Alliance for Lifting the Truth» (Alleanza della salvezza per elevare la verità) che si propone di spingere il Congresso verso i valori cristiani.

La prima battaglia è sulla scia dello scandalo Lewinsky, O’Donnell prende spunto dalla relazione fra Bill Clinton e la stagista per scagliarsi contro la «cultura delle bugie». Arrivando a dire in tv che non sarebbe stato legittimo mentire neanche «per salvare gli ebrei dai nazisti». E’ l’odio per la menzogna che la fa sentire vicina a Hillary, prima vittima di Bill, mentre la convergenza con Palin è sull’astinenza sessuale. O’Donnell ritiene che uomini e donne debbano rigettare «la sessualità intesa come un giocattolo» e contribuire ad evitare all’America disastri come l’Aids «causato dalla rivoluzione sessuale degli anni ‘60».

Nella nazione che O’Donnell vuole costruire non devono esserci limiti al porto d’armi, nelle scuole pubbliche si deve dimenticare Charles Darwin e insegnare piuttosto la creazione «sulla base del testo della Genesi» mentre il governo deve spendere «solo i soldi che ha» nel rispetto del più ferreo rigore fiscale. Da qui la dura ostilità a Barack Obama, un presidente che definisce «socialista» in quanto «ha creato un’economia al 50 per cento dipende dal governo» e anche «antiamericano» perché si oppose al legge sulla prevalenza dell’inglese sulle altre lingue. Se il 2 novembre vincerà la sfida con il democratico Chris Coons per il seggio del Senato lasciato da Joe Biden, promette di usare il voto per ostacolare la riforma della sanità e la legge per la riduzione delle emissioni nocive.

Ma la sua promessa più solenne, che è poi l’atto di fedeltà ai Tea Party, viene dall’impegno a «non votare mai un aumento di tasse». La miscela fra evangelismo e rigore fiscale fa di O’Donnell una sintesi delle diverse anime della base conservatrice ma per riuscire a prevalere nell’Election Day dovrà far dimenticare agli elettori le tante ombre che la circondano. Ad appena 41 anni ne somma in quantità record. Finiti gli studi alla Farlaigh Dickinson University non riceve la laurea perché le mancano da pagare 4000 dollari di retta e l’assegnazione avviene poi, in circostanze ancora da chiarire, appena 15 giorni fa. Nel 2008 non riesce a pagare le rate del mutuo della casa di Wilmington e l’immobile finisce all’asta. Nello stesso anno si candida a sfidare Biden al Senato ma oltre a perdere subisce la defezione di stretti collaboratori che la accusano di «adoperare fondi elettorali per spese private».

Non ha un lavoro stabile, nel 2009 i redditi sono appena 5800 dollari e il sospetto degli avversari è che ora si sia candidata solo per sbarcare il lunario. D’altra parte vive in un monocamera pagato dal tesoriere della campagna. Come se non bastasse ha denunciato per «insanità mentale» uno dei pochi datori di lavoro avuti, chiedendogli danni per 6,95 milioni di dollari. Il leader repubblicano del Delaware la ritiene «una bugiarda che non merita di essere eletta neanche ad accalappiacani». Ma O’Donnell è convinta di potercela fare e ribatte: «A molti non piacciono le donne forti, ne sanno qualcosa Sarah Palin e Hillary Clinton».

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