Information: An Additional Weapon of Politics

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Già al primo mattino, dopo che il conto dei voti mostrava ormai quanto pesanti fossero le ammaccature subite da Obama nelle elezioni di Midterm, lo staff della Casa Bianca è stato convocato d’urgenza, e con un solo punto in discussione: come migliorare le forme di presentazione della politica del Presidente. Nelle democrazie mediatizzate, comunicare è più importante che governare; e dunque il controllo della stampa – o comunque la capacità di influenzarne il lavoro – vale più di qualsiasi atto di governo.

La libertà della stampa diventa così il campo reale di scontro tra le forze della politica, perché quella libertà non soltanto consente la produzione di flussi di notizie ma anche costruisce strutture cognitive. E se il generale Carlo Jean dice senza perifrasi che «oggi, l’informazione è l’arma più potente che gli eserciti abbiano», vuol dire che in ogni ambito della vita di un Paese – perfino in quello militare – controllare il giornalismo significa controllare la conoscenza; ed è la conoscenza che costruisce poi il consenso.

In passato, le classifiche sulla libertà di stampa avevano nel mirino soprattutto le dittature e i regimi autoritari. Sia «Reporters sans Frontières», sia «Freedom House», apparivano strumenti di pressione dell’opinione pubblica internazionale verso quei Paesi, in Africa, in Asia, in Medio Oriente, dove i giornalisti venivano ammazzati, o sbattuti in galera, o comunque erano soltanto funzionari servizievoli del volere dei governi. Poi, da quando la centralità dell’informazione è diventata consapevolezza diffusa di ogni società, l’attenzione si è spostata sempre più verso le democrazie, dove – se pur le leggi difendono la libertà di stampa – nei fatti poi le politiche governative praticano spesso forme di violazione di quelle stesse leggi, tollerando, come in Russia per esempio, un clima di attacchi e di violenze spinto fino all’assassinio dei giornalisti scomodi, oppure manovrando con la sapienza professionale degli «spin doctors» – come negli Usa, per la guerra da lanciare contro l’Iraq di Saddam – in modo da fare del giornalismo uno strumento di supporto delle scelte del governo.

Anche l’Italia, naturalmente, si trova in questo territorio critico di ogni democrazia, e la specificità del suo sistema mediale, con un controllo esteso della politica sulla proprietà dei mezzi d’informazione, spiega senza alcuna enfasi perché la sua classifica (il 49° posto) sia la peggiore del mondo occidentale. Resta sullo sfondo l’orizzonte aperto della Rete, un territorio dove ora libertà e avventura si coniugano con molte ambiguità; sfidando le pratiche convenzionali del giornalismo; i governi già ci studiano sopra, molto interessati, Rsf e Fh vigilano e denunciano.

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