WikiLeaks: The Secret Does Not Reveal the Truth. Assange Announces New Files about the Banks

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Le notizie sulla fine del mondo causata dalle rivelazioni di WikiLeaks sono un tantino esagerate, scriverebbe Mark Twain. Ci vorrebbe tutto il suo genio satirico per commentare in modo appropriato l’agitazione mediatica intorno ai dispacci dei diplomatici americani catturati dagli hacker di Julian Assange. La pubblicazione dei file andrà avanti per settimane. Ma, stando alle anticipazioni, in quei 251.287 documenti non c’è nessuna notizia sconvolgente, nessuna rivelazione clamorosa, niente che non sapessimo già da tempo. Non è un caso che nessuno dei 251.287 documenti, nemmeno uno, sia classificato come “top secret”.

Sapevamo che i paesi del Golfo spingono per un intervento militare contro il nucleare iraniano. Sapevamo del doppio gioco saudita e pakistano. Sapevamo degli aiuti nordcoreani all’Iran. Sapevamo della corruzione del governo afghano. Sapevamo delle trattative per il trasferimento dei detenuti di Guantanamo. Sapevamo della relazione speciale Italia-Russia. Non è una novità nemmeno l’unica notizia originale, quella secondo cui anche Barack Obama, come George W. Bush, ha spiato i vertici Onu.

I file di WikiLeaks non sono i Pentagon Papers, le carte riservate del Dipartimento della Difesa che nel 1971, prima sul Times e poi sul Post, raccontarono la storia segreta, commissionata dal Pentagono a uso interno, del coinvolgimento militare in Vietnam e delle bugie di quattro amministrazioni sulle intenzioni strategiche, sulle attività belliche, sull’estensione della guerra alla Cambogia e al Laos. Nelle carte di WikiLeaks (perlomeno in quelle fin qui note) non solo non ci sono rivelazioni particolari, ma anzi la loro pubblicazione dimostra che nelle società democratiche, grazie alla vecchia e libera stampa, il processo decisionale è trasparente, le notizie si sanno in tempo reale, non c’è quasi mai nulla di inedito.

Le reazioni in Italia e nel mondo

Quanto ai giudizi sui leader mondiali, i dispacci di WikiLeaks contengono segnalazioni e valutazioni non molto diverse da quelle che gli estensori avranno letto sui giornali. Il portavoce di Obama ha posto questi cable ricchi di aggettivi non lusinghieri nel giusto contesto: «I rapporti dal campo inviati a Washington contengono informazioni informali e spesso incomplete. Non esprimono una posizione politica e non sempre formano le decisioni politiche finali». Quelli che abbiamo letto non sono giudizi dell’Amministrazione, ma elementi di informazione e di valutazione inviati a Washington a chi poi è deputato a decidere se tenerne conto o meno nell’elaborazione di una linea politica. Su Sarkozy, Berlusconi, Cameron e gli altri le parole, le azioni e la politica di Obama contano più delle soffiate di WikiLeaks.

Altra cosa è il vulnus all’etichetta diplomatica. Le cancellerie internazionali ora sono in serio imbarazzo e costrette a comunicare con cautela, come se Julian Assange fosse una specie di maresciallo globale in grado di intercettare tutto e tutti.

I documenti di WikiLeaks non giustificano i titoli ansiogeni dei giornali né le dichiarazioni catastrofiche dei politici sulla fine dell’impero americano, sull’11 settembre diplomatico, sulla tempesta che ha colpito il mondo. Il mondo è ancora in piedi e ha problemi ben più seri da affrontare.

Julian Assange gioca a fare il Robin Hood, l’uomo della trasparenza, della giustizia, della pace. Ma a voler essere davvero trasparente, anche per smentire le teorie complottistiche che già circolano online, dovrebbe essere nel suo interesse difendersi dalle accuse di stupro e soprattutto raccontare come sia riuscito a trasformare WikiLeaks in una grande potenza mondiale capace di dettare l’agenda politica e i menabò dei giornali.

Assange non è un paladino dell’informazione. Non gli interessa informare. Gli interessa la violazione del fortino americano. Non gli sta a cuore nemmeno la pace, vuole soltanto imbarazzare la Casa Bianca guidata, peraltro, dal Premio Nobel per la Pace. Ricordarselo.

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