A Double Risk for Obama

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Non sarà l’«11 settembre della diplomazia», come ha sostenuto il ministro degli Esteri Frattini, e forse neppure «l’attacco alla comunità internazionale» di cui parla Hillary Clinton, ma la diffusione dei files del Dipartimento di Stato (DoS) rischia di produrre agli Stati Uniti un danno dall’entità non così immediatamente calcolabile.

Il fatto che il Segretario di Stato abbia chiesto ai suoi diplomatici di raccogliere tutte le informazioni sensibili (compreso il Dna, ove possibile), dei rappresentanti degli Stati accreditati all’Onu non è esattamente una bazzecola. Sono cose da film di James Bond, che forse la logica della Guerra Fredda poteva giustificare, ma che fanno a cazzotti con tutti gli sforzi della diplomazia pubblica messa in campo dall’amministrazione Obama in questi anni e stridono platealmente con la stessa idea di change, così centrale nella brillante ars rhetorica obamiana. Tutti i pregiudizi sull’«ipocrisia yankee», sul cinismo che si nasconde sotto le belle parole, ne verranno inevitabilmente alimentati. Si potrà osservare che, al di là di caustici giudizi su questo o quel leader straniero e di valutazioni geopolitiche talvolta francamente approssimative, non sono emerse tracce di comportamenti anomali, come le renditions o i waterboard di Bushiana memoria. Ma occorre anche considerare che quelle finora svelate sono informazioni carpite al circuito del DoS, ma non sono informazioni criptate, come sarebbero invece quelle che dovessero contenere informazioni su comportamenti «inammissibili». Questo doppio standard, questa tensione tra le parole e i fatti, non può che appannare l’aura internazionale di Obama, che anche sulla maestria oratoria aveva costruito la sua reputazione e, ovviamente, ne esce indebolita anche Hillary Clinton, cioè il Presidente attuale e uno dei più seri candidati alla sua successione.

La seconda cosa che colpisce è una certa incoerenza anche tra i giudizi raccolti dalle ambasciate americane e le conseguenti decisioni politiche della Casa Bianca. Il nostro premier è stato bacchettato per i suoi legami troppo stretti con Putin. E chi scrive è sempre stato altrettanto perplesso. Eni è stata criticata pesantemente per la questione dei gasdotti e dei suoi accordi con Gazprom: che magari allontanano la prospettiva di una politica energetica europea attenta anche alla sicurezza oltre che agli sconti di prezzo (ma non più degli accordi tra russi e tedeschi), e però di sicuro dispiacciono alle compagnie americane interessate a fare affari altrettanto lucrosi in materia energetica.

La pericolosità della Russia, secondo i files del DoS, starebbe nel suo essere uno «Stato-mafia». Bene. Ed è in base a questa valutazione che al vertice Nato di Lisbona, dieci giorni fa, la Casa Bianca ha proposto di condividere con la Russia le tecnologie per la difesa antimissile? Qualcosa non torna, sarà pressappochismo, sarà prepotenza commerciale, ma qualcosa non torna. Più che tirare un sospiro di sollievo per quello che i files non contengono, occorre preoccuparsi per quello che rivelano, è cioè la solita vecchia attitudine americana a tracimare dalla leadership alla supremazia: a cui i Presidenti migliori hanno saputo porre un consapevole argine, nello stesso interesse Usa, per rafforzarne il ruolo internazionale. E’ previsione fin troppo scontata che dalla Russia alla Cina, al mondo arabo (nei confronti dei cui leader il giudizio è durissimo), il contenuto di questi files (e non la sola diffusione) alimenterà nuovo antiamericanismo, rendendo sempre più evanescente il soft power americano. Nicolò Machiavelli rammentava che il potere del principe può derivare dall’amore o dal timore. Oggi Obama rischia di dover fronteggiare la peggiore combinazione per Washington: un’America che torna ad essere poco amata e che continua a essere poco temuta.

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