Two Scenarios for the Future of the USA

<--

Non è la prima volta che un Presidente americano vede, come Obama lo ha visto ieri, una maggioranza parlamentare del tutto diversa da quella che lo aveva accompagnato al potere due anni prima, salire le rampe di Capitol Hill e occupare il Congresso. Questa volta, però, il salto e particolarmente vistoso. Anzitutto per i numeri: i repubblicani hanno alla Camera 49 seggi più dei loro avversari, una maggioranza ampiamente sufficiente per tradurre in realtà un’agenda legislativa. Inoltre, c’è un buon numero di nuovi venuti che appartiene a una generazione ancora in parte sconosciuta di radicalconservatori rabbiosamente ostili a tutti i programmi che Obama ha realizzato o cercato di realizzare nel primo biennio del suo mandato. Più che a una correzione di rotta, ove la loro ottica dovesse prevalere, ci troveremmo di fronte a un’inversione di rotta nel corso politico di questa legislatura.

Naturalmente esistono anche delle remore. Anzitutto nel Senato, dove la maggioranza è ancora marginalmente democratica. E poi, beninteso, nel diritto di veto, che il Presidente può sempre opporre in caso di necessità di fronte a una legge che contrasta apertamente con l’indirizzo politico della Casa Bianca. Un atto questo, però, che non può essere usato indiscriminatamentein quanto apre un contrasto esplicito tra governo e Parlamento.Comunque sia, spetta ora ai repubblicani dire cosa vogliono e come intendono impostare la legislatura.

Va detto che, se il nuovo Congresso si è inaugurato come sempre a inizio d’anno, già da alcune settimane, dopo le infelici elezioni del 2 novembre, la Casa Bianca aveva incominciato a posizionarsi diversamente in vista dei nuovi equilibri: Obama 2, come alcuni commentatori lo hanno chiamato, è nato infatti due mesi prima di questo Congresso.Per esempio, sulla dibattuta questione della riduzione dei redditi fiscali più elevati ereditata dall’era Bush, che venivano a scadenza con il 2010, Obama è andato di sua iniziativa incontro ai repubblicani accordando una proroga ma barattandola astutamente con l’avallo repubblicano ad alcune voci di spesa per stimolare l’economia che hanno avuto il plauso del proprio partito.

Spetta al nuovo speaker della Camera, il repubblicano John Boehner, tradurre in provvedimenti concreti anche le idee che la maggioranza si propone di portare avanti. Nel suo primo discorso tenuto ieri, si è attenuto soprattutto ai temi istituzionali che sono di sua diretta competenza e in particolare sulla necessità di chiarezza e trasparenza nelle procedure e negli atti del Congresso come nelle fasi che li precedono. Il lungo applauso sia dei repubblicani che dei democratici che lo ha accolto sul podio (e che ha destato in noi un triste senso di invidia) lascia bene a sperare.

John Boehner è stato in passato un uomo d’affari che ha condotto al successo una media impresa commerciale prima di essere eletto alla Camera dei Rappresentanti nel 1990 e diventare il leader della minoranza repubblicana nel 2008. È un interprete fedele di ciò che è un dogma per tanti americani, vale a dire che compito dello Stato è fare solo ciò e tutto ciò che il privato non può fare e che il modo migliore di contenere il ruolo dello Stato è quello di ridurne il bilancio. Attorno a questo nodo, e al problema che ne costituisce in tempi di crisi come quelli che stiamo ancora vivendo esattamente l’opposto, cioè quello di sostenere e stimolare l’economia con interventi pubblici, si giocherà a Capitol Hill il biennio che abbiamo di fronte. Sarà dunque una battaglia giorno per giorno, legge per legge (e nelle leggi di spesa la Camera è davvero determinante), tra due visioni opposte, quella di Obama di uno Stato che deve essere generoso perché è necessario e quella di Boehner, e di tanti come lui, di uno Stato che va strettamente controllato perché tende ad invadere ciò che non gli appartiene. Se lo scorcio di legislatura passata dopo le elezioni di novembre può darci qualche indicazione in proposito, non sembra da escludere un patteggiamento continuo improntato a realismo: Obama, per parte sua, ha dimostrato finora di essere disponibile a scendere su questo terreno.

Le cose diventerebbero evidentemente più difficili se, come l’ala estrema dei repubblicani chiede, la maggioranza si proponesse di abrogare la riforma sanitaria che costituisce forse il maggior risultato del primo biennio di Obama e certo il momento di più alto valore simbolico. Se così fosse, significherebbe che il partito repubblicano si accinge non tanto a portare avanti il lavoro da compiere per gestire il Paese e introdurre quelle correzioni all’impostazione precedente che ritiene necessarie, ma che guarda già alla scadenza del mandato dell’attuale Presidente e si predispone fin d’ora a una lunga campagna elettorale.

In materia di relazioni internazionali, il fatto che la maggioranza sia mutata alla Camera non dovrebbe avere necessariamente una diretta influenza se non quando ricorrano leggi di spesa; ma senza dubbio essa avrà modo di infastidire l’Amministrazione – e ne ha manifestato l’intenzione -, per esempio con delle commissioni d’inchiesta sull’affare Wikileaks e sulla reazione avuta dal Dipartimento di Stato. Ma, anche in questo caso, è dubbio che ci si accinga a mettere a fondo il dito in una piaga che tocca anche principi e valori di interesse nazionale.

Se queste riflessioni della prima ora si rivelassero esatte, potremmo attenderci due anni meno esaltanti (ma sotto certi aspetti anche meno deludenti) dei due anni appena trascorsi; potremmo vedere un Barack Obama meno generoso nel promuovere visioni di denuclearizzazione globale o di cambiamenti climatici perché più impegnato nella sopravvivenza quotidiana. Ma anche consapevole che il compito di ridare spinta propulsiva all’America nella trasformazione della propria società e nella progettazione di nuove strategie mondiali, dovrà attendere, per essere realisticamente affrontato, un suo eventuale futuro secondo mandato.

About this publication