Obama preso in contropiede
NEW YORK. Il risultato al Cairo non è stato quello che ci si aspettava alla Casa Bianca. Sembrava davvero ieri mattina che Hosni Mubarak se ne sarebbe andato. Si aspettava il suo discorso, programmato per la notte e lo stesso Leon Panetta, il capo della Cia, aveva anticipato al presidente Obama che Mubarak avrebbe lasciato e passato i poteri al suo numero due, Suleiman. Obama si era così spinto a dire che in Egitto «siamo testimoni del compiersi della storia», promettendo che «l’America farà di tutto per sostenere un’ordinata e genuina transizione alla democrazia». Parole spese prima del discorso di Mubarak, che Obama ha seguito a bordo dell’Air Force One, di ritorno dal Michigan.
Un altro abbaglio del’Agenzia per l’intelligence, già sotto accusa da parte della stessa Casa Bianca per aver sottovalutato la crisi egiziana? Sembrerebbe di sì, visto che Mubarak cede una parte dei poteri, ma resta. Le indiscrezioni secondo cui i militari lo avrebbero Mubarak ad andarsene, le notizie che confermavano la successione di Suleiman, sono state smentite dallo stesso Mubarak nel suo discorso alla nazione. Del resto, anche nei momenti in cui le reti televisive americane davano per certo l’avvicendamento, la Casa Bianca era stata prudente: «Seguiamo la situazione, ma credo che siamo stati chiari nei giorni scorsi, quel che vogliamo e soprattutto quel che vuole il popolo egiziano, è un cambiamento irreversibile. E dunque seguiremo gli sviluppi della situazione, una situazione molto fluida», diceva Robert Gibbs, il portavoce della Casa Bianca, poco prima del discorso di Mubarak.
Non è chiaro ancora come si sia sviluppata dietro le quinte la situazione, da quando sembrava che il presidente egiziano se ne sarebbe andato, fino al discorso della notte, in cui ha detto che sarebbe invece rimasto «per facilitare la transizione», pur confermando un passaggio dei poteri esecutivi al vicepresidente Suleiman. Secondo fonti della Casa Bianca, sembrava che i militari volessero prendere la situazione in mano per diventare loro i garanti del cambiamento. Ma un passaggio di poteri dalle autorità civili a quelle militari, nonostante le mille rassicurazioni (eviteremo che i Fratelli musulmani prendano il sopravvento, terremo sotto controllo sia il vecchio regime che la piazza), suonava molto come un colpo di stato: «La protezione è diversa dal controllo. Una presa del potere da parte dei militari e una possibile uscita di scena di Suleiman oltre che di Mubarak non suonava bene, o meglio suonava come un colpo di Stato e dunque uno sviluppo ancora più preoccupante della permanenza con poteri ridimensionati di Mubarak», ha dichiarato una fonte della Casa Bianca al Sole 24 Ore.
Ora si torna punto a capo. Anche se le parole di Obama e le condizioni esposte da Gibbs lasciano pensare che, come ha annunciato Mubarak, l’avvio di una riforma costituzionale nelle sue parti principali, soprattutto delle regole elettorali, rappresenti la piattaforma su cui costruire il «cambiamento irreversibile» chiesto dalla Casa Bianca. Obama, tornato a Washington dal Michigan, ha subito convocato il Consiglio per la sicurezza nazionale. Ma fino a tarda notte non vi sono state più dichiarazioni ufficiali. In attesa degli eventi, soprattutto quelli in piazza, è caduta a Washington una cortina di silenzio.
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