Obama Comes Back from Brazil Empty-Handed

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Per chi si aspettava la firma di grandi contratti, la visita di Obama in Brasile è stata un flop. Può darsi che abbia posto le premesse per una relazione più fruttuosa in futuro, ma intanto gli Stati Uniti non possono presumere di avere qualche accesso privilegiato alla “nuova Arabia saudita” del continente americano. Che era il tema centrale di questo viaggio. Forse ha contato anche il fatto che la presidente Dilma Roussef (foto) si è sentita un po’ snobbata per via della crisi libica: la squadra di Obama nei due giorni trascorsi a Brasilia e a Rio ha dato ai padroni di casa l’impressione di avere spesso “la testa altrove”.

“Pre-salt”, è questa la parola-chiave per decifrare il viaggio. “Pre-salt”, è il nome che i geologi hanno affibbiato alle nuove riserve offshore scoperte al largo delle coste brasiliane, in una lunga fascia sottomarina che corre parallela alle aree di maggiore industrializzazione: da Rio al Minas Geraìs a San Paolo. Sono distanti oltre 250 km dalle coste, e molto profonde, ma quei giacimenti contengono fino a 100 miliardi di barili. “Avete il doppio di tutte le riserve petrolifere degli Stati Uniti”, ha riconosciuto Obama in un incontro con i chief executive delle grandi aziende brasiliane.

Quando i nuovi giacimenti saranno pienamente sfruttati, balzerà al quarto o quinto posto mondiale tra gli esportatori di petrolio e gas naturale. E’ una superpotenza energetica quella che Obama è venuto a corteggiare proprio mentre infuria l’intervento militare in Libia, a riprova di quanto instabile è l’altra zona del mondo da cui gli Stati Uniti dipendono storicamente per una quota sostanziale del proprio fabbisogno. Perciò Obama ha deciso di dedicare al Brasile il suo primo viaggio presidenziale in Sudamerica.

Ai suoi interlocutori brasiliani Obama non ha risparmiato le lusinghe: “Siete la settima economia del mondo” annuncia, ufficializzando così il sorpasso del Pil brasiliano su quello dell’Italia (e ben presto della Francia, anche per effetto della sopravvalutazione del real). Ha vantato il miracolo economico dal volto umano: “Avete sollevato decine di milioni di persone dalla povertà, quasi la metà della vostra popolazione è ormai ceto medio, avete dimostrato che lo spirito d’intrapresa capitalistico può svilupparsi assieme alla giustizia sociale”. Ha ricordato anche che il Brasile di oggi non è solo una superpotenza agricola e nelle materie prime ma un colosso industriale: “Le vostre multinazionali impiegano 42.000 dipendenti negli Stati Uniti”.

Obama ha affrontato quindi il nocciolo duro del suo interesse strategico per il Brasile: “In un momento come questo in cui gli eventi ci ricordano quanto l’instabilità in altre parti del mondo può condizionare il prezzo del petrolio, gli Stati Uniti non possono che salutare con soddisfazione il vostro ruolo come nuova, stabile fonte di energia”. E’ una proposta di alleanza a lungo termine: l’Amministrazione Usa corteggia il gigante petrolifero pubblico Petrobras nella speranza di ottenere contratti di fornitura a lungo termine. Ma è proprio su questo terreno che la visita si è conclusa senza risultati tangibili.

Obama ricorda che il Brasile è una superpotenza energetica anche in altri settori. In fatto di Green Economy, il Brasile è un maestro da cui gli Stati Uniti potrebbero imparare molto. “L’80% della vostra corrente è generata dalle centrali idroelettriche”. E questo nonostante che lo sviluppo delle centrali sia ancora allo stadio dell’infanzia: si calcola che solo il 30% del potenziale idrico sia sfruttato. “Siete leader mondiale nei biocarburanti”, ha ammesso Obama. E qui si è avventurato su uno dei terreni minati, dove il dialogo tra i due giganti del continente americano è irto di incomprensioni e conflitti.

Il Brasile in effetti genera il 45% della sua energia (carburanti inclusi) dal bioetanolo. Il suo è di gran lunga il più “verde”, il meno inquinante e il più efficiente nell’utilizzo delle risorse naturali, perché è prodotto dalla canna da zucchero. Ma contro questo bioetanolo da Washington si sono moltiplicati gli ostacoli protezionisti. Lo stesso Obama quand’era in campagna elettorale nel suo Midwest difese strenuamente i sussidi pubblici Usa ai produttori di biocarburanti a base di mais e altri cereali: un carburante molto meno “verde”, più dispendioso nell’uso di risorse naturali, e che fa concorrenza all’alimentazione umana.

Il futuro del dialogo Usa-Brasile dipenderà anche dalla capacità di Washington di ridurre le sue barriere. Ai brasiliani non mancano le alternative: dal 2009 la Cina ha già scalzato gli Stati Uniti nel ruolo di primo partner commerciale. E se Obama ha omaggiato Brasilia e Rio col suo primo viaggio sudamericano, invece la prima tournée estera della presidente Dilma Roussef ad aprile avrà un’altra destinazione: Pechino.

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