Obama Launches Run toKeep the White House

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E adesso chi lo ferma più il Billion Dollar Baby, l’Obama 2.0, l’irraggiungibile Barack, il presidente dei record che domani, al più tardi martedì, consegnerà le carte alla Federal Election Commission per lanciare la sua nuova sfida all’America? L’avevano dato per morto e sepolto, bollito e spacciato. E invece l’uomo che questa settimana annuncerà ufficialmente di ripuntare alla Casa Bianca rischia di passare alla storia per un altro primato ancora: il ri-candidato più ricco degli States.

“Un bilione” c’è scritto sulla busta di questo Bonaventura d’America passato in due anni attraverso più di una sventura. E adesso miracolato dalla disoccupazione che finalmente, anche se piano, scende: 8,8 per cento, 216 mila posti di lavoro in più. E da una Borsa che dalle lacrime della recessione è tornata alla festa di 12 anni fa. E dalla prospettiva di una campagna elettorale in cui potrebbe presentarsi come il primo Comandante in Capo capace di chiudere non una, non due, ma nientedimeno che tre guerre: Iraq, Afghanistan e – se Dio e Muhammar Gheddafi vorranno – Libia.

“Un bilione” sono mille milioni, cioè un miliardo, cioè un quarto in più di quello già speso nel 2008: il più alto budget di sempre. L’ha ammesso il fido Jim Messina, il quarantenne italoamericano al quale Barack ha affidato la cassa e le chiavi dell’ufficio elettorale che questa settimana aprirà i battenti al One Prudential Plaza, nel grattacielo che della sua Chicago è un’icona: “L’obiettivo è andare ben più su di quei 750 milioni”. E infatti. La macchina è scattata da un pezzo. E quando il 14 aprile Barack darà il via ufficiale alla raccolta – una grande festa sempre a Chicago prima del tour de force, una settimana dopo, tra San Francisco, Los Angeles e New York – Jim, l’ex consigliere David Axelrod e l’ex social secretary Julianna Smoot avranno già scosso l’albero dei benefettatori democratici. Perché s’è già trasferita mezza Casa Bianca, armi e bagagli, in quel di Chicago: a partire dall’ex diretto superiore di Jim, quel Rahm Emanuel che da capo dello staff del presidente s’è fatto eleggere due mesi fa sindaco.

Un’occupazione in grande stile. D’altronde è la prima campagna che un presidente in carica non conduce da Washington ma dal suo collegio. Come se fosse ancora un debuttante. Non è neppure un caso che domani non farà un annuncio classico ma affiderà la sua discesa in campo a un messaggio elettronico: un tweet, un post, un video. La sfida che correrà su Facebook prima che in tv. Sperando di riaccendere quell’immagine anti-sistema appannata in due anni di compromessi.

Non c’è più tempo per sbagliare. È vero: negli ultimi 120 anni soltanto una volta un presidente democratico in carica non fu eletto. Ma è pure vero che quel presidente si chiamava Jimmy Carter. Un fantasma al cui solo nome gli Obama Boys ricorrono ai più apotropaici degli scongiuri viste le inquietanti somiglianze col Capo: dalla promessa di cambiamento dopo il buio (lì c’era Richard Nixon, qui George W. Bush) fino al premio Nobel (lì tardivo, nel 2002, qui per la verità sulla fiducia e basta).

D’accordo: oltre alla tradizione perfino la statistica sembra tifare Barack. L’ultimo censimento ha segnato un boom di quei latinos che insieme ai neri sono stati la carta vincente del 2008. Letteralmente raddoppiati in stati chiave come Nevada, Virginia e North Carolina, Indiana e Ohio. La geografia del successo. Gli stati che strappati ai repubblicani tre anni fa si rivelarono poi determinanti.

Cronaca di una vittoria annunciata? Per carità: in questi giorni ripartirà la battaglia sul budget e qui si parrà la sua nobilitate. La controffensiva elettorale, poi, sarà terribile. Il braccino di Bush, cioè Karl Rove, sta già tendendo la manina alle corporation miliardarie per arraffare quattrini. Proprio per questo Obama fa cassa: qui i soldi sono tutto. Se su Google digitate “Obama 2012” la prima cosa che vi salta in lista è il finto spot che invita a votare Barack: e invece è una cattivissima caricatura dei repubblicani.

Non solo. I sondaggi dicono che solo il 42 per cento approva l’operato del presidente: contro il 48 che non l’approva affatto. Però, si sa, vince chi fa 50 più 1. E il nemico che a novembre sembrava ringalluzzito dalla “batosta” delle elezioni di midterm e dal vento dei Tea Party ora è così diviso sul nome da opporgli – Mitt Romney, Newt Gingrich, Tim Pawlenty, quella Michele Bachmann che va più forte di Sarah Palin? – da aver rinviato il primo dibattito da maggio a settembre.

Ecco perché i santoni della politica giurano che alla fine il Billion Dollar Baby dovrà guardarsi da un candidato solo. Da lui stesso: Barack Obama. L’uomo che da domani non potrà sbagliare mai più.

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