The Triumph of Barack Hussein Obama II

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Il trionfo di Barack Hussein Obama II

L’America si sveglia quasi stordita dall’ebbrezza della vittoria. La cattura di Osama bin Laden era una notizia attesa da quasi 10 anni, e al tempo stesso era diventata quasi improbabile, dopo tante false speranze. Infine era diventata quasi marginale, dopo due guerre, e dopo le rivoluzioni del mondo arabo. Un trionfo per Barack Obama: è proprio il presidente nero, che porta il secondo nome di Hussein, è quell’ “alieno” di cui il 45% degli elettori repubblicani metteva in dubbio la nazionalità americana, di cui il 20% ancora pensa sia di religione islamica, è proprio lui a passare alla storia per l’eliminazione del nemico storico dell’America.

Le conseguenze per la lotta al terrorismo? La stessa Amministrazione Obama invita alla prudenza, vuole evitare i trionfalismi, ricorda che Al Qaeda si è trasformata in un “franchising”, un marchio che viene applicato a realtà molto diverse. Una realtà organizzativa decentrata, la cui struttura ha propaggini in aree del mondo ben distanti dall’ultimo quartier generale di Osama. Per esempio la penisola arabica, lo Yemen destabilizzato dalle proteste contro il suo presidente. Proprio la notizia dell’uccisione del capo storico potrebbe ispirare qualche rabbiosa reazione, la vendetta di cellule periferiche: di qui l’allarme per gli aeroporti e le ambasciate lanciato oggi da Washington.

Per Obama da oggi diventa, almeno in teoria, più facile mantenere la sua promessa: il 2011 sarà l’anno di avvio del ritiro delle truppe Usa dall’Afghanistan. Infatti l’uccisione di Bin Laden “spezza” simbolicamente quell’identificazione tra la guerra in Afghanistan e la caccia al capo terrorista che firmò gli attacchi dell’11 settembre alle Torri gemelle e al Pentagono. Di fatto però si sa da tempo che i talebani sono una cosa diversa da Al Qaeda, e un loro ritorno in Afghanistan dopo il ritiro americano sarebbe comunque una minaccia strategica per gli interessi di Washington in quell’area.

Il Pakistan si conferma essere il vero problema: era lì che si “nascondeva” Osama, proprio come gli americani hanno sempre sospettato. Abitava impunemente sul territorio di un paese “alleato” degli Usa, in realtà un partner del tutto inaffidabile. E’ lo stesso Pakistan che continua a minacciare l’India, e che “flirta” in modo sempre più sfacciato con la Cina.

Osama bin Laden appare però come il protagonista di un’epoca precedente. Marginalizzato da quanto accade nel mondo arabo dall’inizio di quest’anno. Tunisia, Egitto, poi Libia e Siria, Marocco, Bahrain: in nessuna di queste rivoluzioni popolari Al Qaeda ha avuto un ruolo. Non a caso, finora non è affiorato l’antiamericanismo come una componente importante di quelle rivolte dal basso, neppure quando hanno rovesciato regimi come quello di Mubarak che erano stati sostenuti dall’America. In questo senso Obama aveva preparato la “sua” vittoria nel giugno 2009, con quel discorso all’università del Cairo che segnalò una nuova stagione di dialogo con il mondo islamico.

Le ricadute sulla politica interna americana? Non c’è dubbio che il discorso di ieri sera, “giustizia è fatta”, sarà ripreso negli spot pubblicitari per la campagna elettorale di Obama. L’uccisione di Bin Laden è un segno più nel suo bilancio. Ma le elezioni sono ancora lontane (novembre 2012), la memoria di questo storico evento sarà già sbiadita per allora, gli elettori torneranno a orientarsi prevalentemente su questioni interne: occupazione, inflazione.

P.S. Sarebbe stato meglio catturarlo vivo, e processarlo? Da sinistra, nell’ala più intransigente del pacifismo americano, si avanza questa obiezione. Ma Osama vivo sarebbe diventato un formidabile catalizzatore per tutti i suoi seguaci nel mondo intero, anche folli isolati, e il rischio di operazioni-suicida per liberarlo sarebbe stato altissimo.

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