Obama crea l’evento con Facebook (e sfugge ai giornalisti reali)
Barack Obama e Mark Zuckerberg sono amici su Facebook e nella vita. Il presidente ha incontrato diverse volte il fondatore del social network nell’ambito di quella che più di una strategia comunicativa è un’inclinazione esistenziale: Obama ama gli innovatori, quelli che creano lavoro con idee rivoluzionarie e mettono in circolo nuove energie. Nella narrativa del presidente-comunicatore i vari Zuckerberg, Schmidt (Google) e Jobs (Apple) sono le controfigure del presidente nella società civile, una specie di consiglio informale che s’incastra perfettamente con le visioni presidenziali.
Ieri Obama e Zuckerberg hanno santificato la loro unione con la visita del presidente nel quartier generale di Palo Alto e l’incontro – via Facebook, ovviamente – con migliaia di persone (hanno risposto all’invito in 23 mila) per sentire un nuovo atto della campagna “responsabilità condivisa e prosperità condivisa” con cui Obama sta portando in giro per l’America il messaggio di politica economica annunciato alla George Washington University la settimana scorsa. Quello che, dicono alcuni osservatori, ha convinto Standard & Poor’s a rivedere in negativo il giudizio sul debito americano per via di tagli alla spesa non abbastanza profondi. La storia del comizio su Facebook, della candidatura via sms, dell’intervista su Twitter, della telefonata su Skype – insomma, del presidente alleato della tecnologia – è vecchia quanto la sua stessa ascesa alla Casa Bianca. E’ nuovo, invece, il passaggio da una partnership ideale a una strategia d’impresa comune fra il presidente e i grandi innovatori della Silicon Valley. L’evento di ieri è parte di uno scambio fra Obama e Zuckerberg in cui entrambi portano a casa il bottino: Obama dà alla sua seconda campagna elettorale quello smalto giovane e cool che si è un po’ scrostato a forza di battaglie di retroguardia e discorsi molto importanti ma troppo noiosi per l’elettorato più giovane; Zuckerberg non ha bisogno di nuovi amici su Facebook né di soldi (oltre un miliardo di profitti l’anno possono bastare) ma di accreditarsi a livello politico. In California il fondatore è una specie di divinità, ma a Washington i lobbisti che lavorano per lui non hanno ancora trovato le giuste entrature. L’anno scorso l’ufficio di K Street – la via delle lobby – ha investito soltanto 351 mila dollari a Washington, contro le milionate buttate da Google e Apple.
Una delle operazioni obamiane per saldare l’asse Casa Bianca-Palo Alto è saltata contro ogni aspettativa. Robert Gibbs, ex portavoce della Casa Bianca e amico intimo di Obama, era destinato a occupare una casella molto importante nell’organigramma di Facebook, probabilmente il direttore della comunicazione. Ma secondo le voci riportate dal Wall Street Journal, le trattative sono saltate per via delle indiscrezioni messe in giro qualche settimana fa da non si sa chi. Piazzare un uomo di fiducia all’interno di Facebook proprio all’inizio della campagna elettorale sarebbe stato un bel colpo per Obama, che ora deve occuparsi in prima persona di coltivare un’amicizia non virtuale con Zuckerberg e con tutto ciò che lo circonda. E fuori dai social network Obama sembra avere perso il tatto che lo ha reso un semidio della comunicazione. In un’intervista di sette minuti concessa a Brad Watson, dell’emittente texana Wfaa, il presidente si è scaldato per le domande incalzanti (ma nemmeno troppo) del giornalista, che una volta ha addirittura avuto l’ardire di correggerlo su un dato (“in Texas ho perso di poco”, ha detto Obama. “Circa dieci punti”, ha risposto Watson, a sua volta sottostimando i 12 punti reali). Alla fine dell’intervista lo scocciatissimo presidente lo ha apostrofato: “La prossima volta fammi rispondere alle domande, ok?”, e poi è tornato a scrivere cose carine su Facebook.
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