USA 2012: Bishops versus Obama

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Sbagliava chi si aspettava dai vescovi americani una passiva attesa delle elezioni presidenziali del 2012. La nuova pubblicazione del lungo e complesso documento Faithful Citizenship del novembre 2007 ha preceduto di qualche settimana l’assemblea plenaria autunnale dei vescovi, appena conclusasi a Baltimora: ma la riedizione non contiene nessun aggiornamento rispetto alla crisi economica e sociale che avvolge il paese, come se negli ultimi quattro anni non fossero mutati lo scenario politico e i suoi riflessi pastorali.

D’altra parte, molti vescovi avevano accusato Faithful Citizenship di non aver persuaso i fedeli cattolici a non votare per i democratici. La conferenza episcopale degli Stati Uniti, ora guidata dal combattivo arcivescovo di New York e futuro cardinale Timothy Dolan (che nelle elezioni dello scorso anno per la presidenza aveva sconfitto il candidato naturale in quanto vicepresidente, il più dialogante Kicanas), ha scelto lo scontro frontale con la politica liberal dell’amministrazione Obama.

A fine settembre 2011 la conferenza episcopale ha creato una “commissione ad hoc per la libertà religiosa”. La tesi della conferenza episcopale è che i provvedimenti legislativi su aborto, contraccezione, e matrimonio omosessuale rappresentano un “attacco alla libertà religiosa”.

I casi citati sono quelli di Illinois, Massachusetts, e del District of Columbia, dove le agenzie di welfare cattoliche sostenute anche da denaro pubblico hanno cessato di offrire servizi di sostegno alle pratiche di adozione e di affido a causa del loro rifiuto di estendere quei servizi anche alle coppie omosessuali. Un’altra questione riguarda l’obbligo, previsto dalla legge di riforma sanitaria, per tutte le compagnie assicurative (anche quelle che assicurano i lavoratori degli enti cattolici) di coprire le spese mediche sostenute per pratiche contraccettive, riproduttive e abortive in contrasto con il magistero della chiesa (su questa seconda questione sono dalla parte della conferenza episcopale anche quei cattolici che nel marzo 2010 polemizzarono con i vescovi al momento dell’elaborazione della legge di riforma sanitaria).

I vescovi vedono una spinta, proveniente in particolare dalla politica dell’amministrazione democratica di Obama, per ridurre la libertà della chiesa di difendere i “valori non negoziabili”. Evidente appare la volontà di lasciarsi alle spalle lo scandalo degli abusi sessuali, che ha visto alcune settimane fa, per la prima volta, un vescovo (Robert Finn di Kansas City) citato in giudizio davanti a un tribunale per non aver denunciato un prete pedofilo.

Lo scandalo degli abusi sessuali negli ambienti della squadra di football della Penn State University offre alla chiesa cattolica la possibilità di mostrare all’opinione pubblica americana la prova che l’omertà attorno alla pedofilia non è un problema solo del clero cattolico. L’incontro tra Obama e Dolan, avvenuto in maniera riservata nei giorni scorsi, non ha calmato le acque ed è servito solo a mettere sull’avviso la Casa Bianca.

Appoggiato da vescovi come il futuro cardinale di Philadelphia, Chaput, e dai cardinali di Boston e Washington, O’Malley e Wuerl, il neopresidente Dolan ha elevato il livello dello scontro con l’amministrazione democratica di Obama nei mesi cruciali per la campagna elettorale per le presidenziali del novembre 2012.

Come ha commentato un consigliere dei vescovi (che non ha voluto essere citato), la politica dei vescovi è entrata attualmente nella fase “nessun nemico a destra”. Nel 1919 i vescovi cattolici americani contribuirono a preparare il terreno al New Deal di Roosevelt, quando proposero il salario minimo e una rete di sicurezza sociale per anziani, disabili e disoccupati. La leadership di Dolan prosegue il corso inaugurato dall’ex presidente, il cardinale George di Chicago, in un cambio di rotta evidente rispetto all’episcopato degli anni ottanta e novanta, che in pieno clima reaganiano aveva pubblicato documenti molto coraggiosi sulla giustizia sociale ed economica e sul disarmo.

I vescovi di inizio secolo XXI sembrano non aver nulla da offrire ad una società scopertasi più povera e più ingiusta, tornata ad una situazione simile a quella precedente il New Deal. In un’America caratterizzata da disuguaglianze sociali stile “robber barons” di fine ottocento, anche la chiesa cattolica sembra essere tornata a quel periodo. Dalla lotta della chiesa cattolica in America del secolo XIX per la libertà religiosa della chiesa della minoranza e degli immigrati, siamo passati al secolo XXI in cui una chiesa cattolica nel frattempo diventata maggioranza relativa rispetto alle altre chiese e religioni americane si fa interprete, in nome dei “valori non negoziabili”, di un’idea di “maggioranza morale” – quasi una ripresa della moral majority del pastore filorepubblicano Jerry Falwell dei primi anni ottanta.

Diversamente che da Iraq e Afghanistan, c’è poco che Obama possa fare per fermare la “culture war” dei vescovi americani. Nel 2008 Obama aveva vinto anche grazie al voto dei cattolici: la Casa Bianca conta che i cattolici continuino a considerare politicamente irrilevante un episcopato sempre più schierato con un partito repubblicano i cui candidati alla presidenza si sono fatti notare finora solo per l’estremismo liberista delle loro proposte di politiche sociali e fiscali.

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