America? Ask Letterman

Edited by Janie Boschma

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Ogni tanto si legge sui giornali quanto sia bravo quel conduttore di talk show americano che si chiama David Letterman – e che anche il pubblico italiano può vedere su Rai 5. Evidentemente chi scrive non ha mai visto quel personaggio fantastico che era Johnny Carson (e a cui credo si sia poi ispirato anche Maurizio Costanzo quando ha inaugurato il talk show all’italiana). Eppure Carson ha condotto il suo “The tonight show” della NBC dal 1958 al 1992. Era un grande spettacolo, pieno di ironia, di malizia e di strizzate d’occhio, e a confronto di Carson Letterman è più sbrigativo e legnoso.

L’ultima volta che l’ho visto, Letterman stava intervistando un signore che aveva scritto un libro sulla crisi del Medio Oriente, e aveva iniziato a interrogarlo sul perché (salvo le recenti insurrezioni dalla Tunisia all’Egitto) i popoli arabi si accontentavano di vivere sotto dittatori o sceicchi che si ingrassavano sul petrolio locale tenendo i loro sudditi in soggezione politica ed economica.

Come mai, aveva domandato Letterman, questa gente accetta così il proprio destino? Eppure i Padri Pellegrini di buona memoria, nel 1620, quando in Inghilterra si erano sentiti conculcati nei loro diritti di puritani, avevano allestito il Mayflower ed erano emigrati in America, fondando nel New England il primo nucleo di un paese democratico.

L’interlocutore era rimasto così sbigottito che aveva a fatica articolato una delle risposte più ovvie: i padri pellegrini erano quattro gatti (mi pare fossero 120) e avevano a disposizione un continente ancora vuoto, mentre i poveri musulmani sono milioni e milioni e quando gli va bene possono emigrare solo in paesi e città affollatissimi che stentano ad accoglierne qualche decine di migliaia. Io avrei aggiunto che i pellegrini erano un gruppo di persone abbastanza evolute e che avevano vissuto in una Inghilterra in cui da tempo (e l’Habeas Corpus sarebbe stato proclamato entro cinquant’anni) si aveva una nozione di cosa fossero i diritti politici di un cittadino. Come si fa a pensare che lo stesso possa accadere a sterminate popolazioni che non solo non saprebbero dove andare, ma anziché permettersi un Mayflower potrebbero al massimo affidarsi a qualche mascalzone di scafista; e che inoltre non si trovano in conflitto con la loro confessione religiosa e non hanno alcuna nozione di cosa sia una democrazia all’occidentale?

A sentire quel dialogo ero rimasto a bocca aperta. Ma come, un signore che dovrebbe aiutare con le sue interviste la comprensione del mondo in cui viviamo, ha delle idee così infantili su ciò che esiste al di là dei confini degli Stati Uniti?

Eppure Letterman stava esprimendo la condizione normale non dell’intellettuale americano, ma di quella massa immensa che vive al centro del continente e legge quotidiani locali dove si parla della nascita di un vitello con due teste nella contea, e si danno in modo vago notizie sul resto del pianeta, e dove il “New York Times” non arriva, o si può trovare a prezzo doppio solo in qualche posto di eccellenza; dove, ai tempi in cui le interurbane si facevano attraverso centralino, una signorina a cui qualcuno chiedeva di collegarlo con Roma, dopo aver chiesto di quale Rome si trattasse (perché ce n’è una in Georgia, una nello Stato di New York, una in Indiana, una nel Tennessee e qualche altra che mi sfugge) si era stupita che ne esistesse anche una in Italia.

D’altra parte qualche anno fa a un convegno a Firenze, una persona che lavorava non ricordo se al Pentagono o alla Casa Bianca, dopo aver apprezzato a cena un ottimo pesce, saputo che era stato pescato nel Mediterraneo, aveva chiesto se il Mediterraneo fosse un “salt lake”, un lago salato.

Certe volte non si capisce come mai il politico americano medio (che talora può diventare Bush) commetta tanti errori quando si misura con l’Europa, l’Africa o l’Asia, come se il suo paese dominasse su zone che non conosce. Chiedetelo a Letterman.

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