E’ diventato il simbolo della disumanità dell’amministrazione Bush nella guerra al terrorismo. Le sue celle hanno conosciuto la tortura e la disperazione. Compie dieci anni Guantanamo, il centro di detenzione in cui Rumsfeld, Cheney e gli uomini di Bush assicuravano di concentrare solo “the worst of the worst”: il peggio del peggio dell’umanità. Il puro distillato del male qaedista, che ha tirato giù le Torri Gemelle, sterminando 3 mila americani e innescando una lotta mortale contro gli Stati Uniti e l’Occidente.
Il lager che Obama voleva chiudere una volta per sempre sta ancora lì, con i suoi 171 detenuti, che non vengono né processati né rilasciati. Un limbo eterno che nelle ultime settimane è diventato legge, dopo che Obama ha firmato la ‘National Defense Authorization Act’ (Ndda), che di fatto trasforma l’intero globo in una zona di guerra, dove gli Usa possono in qualsiasi momento catturare chiunque l’intelligence americana sospetti di terrorismo e possono detenerlo all’infinito, senza incriminarlo o processarlo, lasciandolo marcire a vita in lager come Guantanamo o la base americana di Bagram, in Afghanistan.
Per quasi dieci anni, Guantanamo è rimasto un centro di detenzione off-limits, poi nell’aprile scorso WikiLeaks ha rilasciato le 779 schede segrete dei detenuti finiti in quell’inferno. I file sarebbero parte della valanga di documenti che il soldato americano Bradley Manning, oggi sotto processo, avrebbe inviato all’organizzazione di Assange, insieme al video pubblicato con il titolo ‘Collateral Murder’, ai report sulla guerra in Afghanistan e in Iraq e ai cablo della diplomazia Usa.
L’Espresso e la Repubblica hanno avuto accesso esclusivo ai documenti con un pool di otto giornali internazionali, come il Washington Post, El Paìs e Le Monde. Per la prima volta i reporter hanno potuto consultare i file ufficiali e segreti della Task Force americana che gestisce Guantanamo (Joint Task Force Gtmo), ricostruendo una dopo l’altra le storie di centinaia di persone che, prima della fuga di documenti di WikiLeaks, erano fantasmi, spesso senza un nome e un’identità. Il quadro che esce dalle schede è scioccante: «una metafora di tutto quello che è andato storto con la guerra in Afghanistan», come ha scritto il quotidiano inglese Guardian.
I numeri dell’orrore
Le dichiarazioni del 2002 dell’allora segretario alla Difesa dell’Amministrazione Bush, Donald Rumsfeld, secondo cui a Guantanamo venivano inviati solo i terroristi più pericolosi del mondo, il peggio del peggio, quelli per cui non c’era altra soluzione se non l’eliminazione fisica, sono state completamente smascherate grazie alla pubblicazione delle schede dei detenuti, compilate dalla stessa Task Force che li aveva in custodia.
Tra i prigionieri non mancano certo geni del male, come Khalid Sheikh Mohammed e Abu Faraj al-Libi. Il primo è considerata la mente dell’11 settembre, una laurea in ingegneria, molto intelligente e pericoloso. L’altro è il numero tre di Bin Laden. Su 779 prigionieri, però, solo 220 sono schedati come terroristi di grosso calibro, il resto sono milizie di livello medio-basso e 150 sono completamente innocenti.
I criteri con cui sono stati catturati e spediti a Guantanamo hanno dell’incredibile e lasciano intuire come la vita di chiunque potrebbe finire distrutta in qualsiasi momento, se si entra nel mirino dell’intelligence americana, sospettati di terrorismo per le ragioni più improbabili.
C’è chi è finito a Guantanamo perché il suo nome suonava simile a quello di un ex comandante talebano, come è successo a Mohammad Nasim (http://www.wikileaks.org/gitmo/pdf/af/US958.pdf). Un anno dopo la cattura, Nasim sta ancora lì, ma la Task Force ha concluso che «è un povero agricoltore arrestato per sbaglio». Chi non aveva nessuna voglia di darsi alla jihad, ma è stato convinto, come scrivono gli americani «per espiare i suoi peccati di aver fumato l’oppio e avuto rapporti prematrimoniali», come è successo al ventunenne Asad Ullah, (http://www.wikileaks.org/gitmo/pdf/af/us9af-000047dp.pdf) che «non ha mai espresso pensieri violenti o fatto minacce contro gli Usa o i suoi alleati durante la detenzione e non pone una minaccia futura agli Stati Uniti o ai suoi interessi».
C’è Ezat Khan, un taglialegna finito a Guantanamo solo perché conosceva i sentieri di montagna tra l’Afghanistan e il Pakistan (http://www.wikileaks.org/gitmo/pdf/af/us9af-000314dp.pdf): un detenuto innocuo che non rappresenta alcuna minaccia per l’America e che è stato cooperativo con la Task Force, ma «le informazioni ottenute da lui e su di lui non hanno alcun valore né sono sfruttabili tatticamente». C’è l’ottantanovenne Mohammed Sadiq (http://www.wikileaks.org/gitmo/pdf/af/us9af-000349dp.pdf) malato di cancro alla prostata e di demenza senile, arrestato dopo che un amico del figlio aveva trovato un cellulare satellitare e una lista di numeri telefonici di individui sospetti. «Gli oggetti non potevano essere collegati direttamente al detenuto né lui sapeva come far funzionare il telefono», ma Sadiq, anno 1913, è stato comunque catapultato nell’inferno di Guantanamo.
Così è successo a Ihsan Morzai (http://www.wikileaks.org/gitmo/pdf/af/us9af-000350dp.pdf): un ventinovenne che si è ritrovato costretto a combattere a fianco dei Talibani, perché questi gli avevano rapito il padre. Ancora peggio è andata ad Abdullah Bayanzay (http://wikileaks.org/gitmo/pdf/af/us9af-000360dp.pdf): lui non aveva nessuna voglia di arruolarsi nelle truppe talebane e così gli altri uomini del suo villaggio. Ma gli anziani avevano paura delle tremende ritorsioni dei Talibani e così indirono una lotteria per estrarre a sorte gli uomini da arruolare a forza.
Il patchwork di storie disegnato dalle 779 schede dei detenuti è, come ha scritto il Guardian, «un mix da cui ci si può aspettare di tutto: il Male mescolato alla semplice criminalità e al puro caso …Guantanamo si è rivelato un pessimo modo di raccogliere intelligence e un modo ancora peggiore di fare giustizia».
La settimana dopo il rilascio delle schede dei detenuti da parte di WikiLeaks, le forze americane hanno ammazzato Osama Bin Laden, dando il via a tutta una serie di speculazioni sul fatto che la pubblicazione di quelle informazioni potrebbe avere in qualche modo convinto gli Usa a muoversi e forse ad anticipare il blitz nella paura che l’operazione rischiasse di andare in fumo. Nel database, infatti, figura il nome di uno dei corrieri (Maulawi Abd al-Khaliq Jan) che avrebbero portato a Bin Laden e il nome della località in cui lo sceicco del terrore era nascosto ed è stato ammazzato: Abbottabad. Ovviamente nessuno ha commentato queste speculazioni, ma di fatto, dopo dieci anni di caccia infinita, in cui il capo di al Qaeda era quasi scomparso dal radar dei media internazionali, Bin Laden è stato eliminato proprio la settimana dopo l’uscita delle schede dei detenuti di Guantanamo.
La diplomazia del Terrore
L’organizzazione di Julian Assange, però, non ha fatto luce solo sui dannati di Guantanamo, ma ha permesso di raccontare anche il dietro le quinte della diplomazia Usa sulla famigerata prigione. Di particolare interesse sono i pochissimi cablo in cui gli americani ne discutono con il Vaticano. Un file riservato del gennaio 2002 apre uno spiraglio inquietante su Monsignor Luis Mariano Montemayor, prelato a capo dell’ufficio della Santa Sede per l’Afghanistan e il Pakistan. Montemayor racconta alla diplomazia Usa di «un’accesa discussione interna (in Vaticano, ndr) sul trattamento dei detenuti». Ci si aspetterebbe un rigetto totale. E invece, stando a quello che gli americani registrano nel cablo, Montemayor avrebbe detto che il dibattito «è finito con un solido supporto – pur con alcune riserve – alla campagna degli Stati Uniti». Il file su Montemayor riporta anche che il prelato ha discusso del campo di detenzione con un interlocutore russo: Dmitry Shtodin «un diplomatico ritenuto un uomo dell’intelligence». Ad oggi, Shtodin è ‘ministro consigliere’ dell’Ambasciata russa a Roma. Nel colloquio con Montemayor, Shtodin era rimasto colpito dalla mancanza di tenerezza del prelato verso i detenuti. Una durezza che gli americani sembrano ricondurre al background del monsignore: il padre era un ufficiale della Marina argentina e Montemayor sembra uscire dal cablo come una sorta di nostalgico della famigerata dittatura. Infine un file riservato dell’agosto 2005 lascia capire che la diplomazia Usa tiene in qualche modo informato il Vaticano su Guantanamo. «L’ambasciata ha sollevato la questione di Guantanamo e dei detenuti durante un primo contatto con il viceministro degli Esteri (della Santa Sede, ndr) Pietro Parolin», registra il documento, che però, stranamente, non registra alcun passaggio delle conversazioni tra monsignor Parolin e gli americani. «Parolin ha detto che farà una revisione della questione e poi fornirà una risposta. L’Ambasciata cercherà altre opportunità di informare persone chiave del Vaticano sulla faccenda e riferirà prontamente al dipartimento (di Stato Usa, ndr)». Ma nel database non c’è traccia di una risposta di Parolin, né di altri documenti che permettano di interpretare questo file criptico. Per dissipare per sempre la nebbia della guerra sul lager di Guantanamo, forse, serviranno nuovi blitz di WikiLeaks.
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