If the Atomic Bomb Ends Up in the Hands of Terrorists

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– E se un domani i terroristi riuscissero a mettere le mani su qualsiasi tipo di materiale nucleare e passassero dalle minacce ai fatti impiegando la bomba atomica per tenere in scacco il mondo? 
È un’ipotesi che ha poco di assurdo e molto di realistico. Ne sono coscienti i rappresentanti di 53 nazioni che negli scorsi due giorni hanno partecipato al vertice sulla sicurezza nucleare di Seul (il terzo in ordine di tempo dopo quello di Praga del 2009 e quello di Washington del 2010) sottoscrivendo un documento finale che parla di un impegno comune per il disarmo, la non proliferazione e l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare, ma anche di una forte riaffermazione dei rischi della sicurezza legati al terrorismo nucleare.
«Credo fermamente che possiamo garantire la sicurezza degli Stati Uniti e dei nostri alleati, mantenere un forte deterrente contro ogni minaccia, e allo stesso tempo perseguire ulteriori riduzioni del nostro arsenale nucleare» ha dichiarato il presidente USA Barack Obama nel corso del vertice, a metà strada verso il traguardo di mettere al sicuro il materiale nucleare nel mondo entro il 2014. 
Per questo, ha aggiunto Obama, «noi continueremo a dialogare con la Russia verso un passo che non abbiamo mai compiuto prima: ridurre non solo le nostre testate nucleari strategiche, ma anche le armi tattiche e le testate di riserva». Il vertice di Seul ha ruotato intorno ad un duplice dibattito. Il primo riguarda la «nuclear safety», vale a dire le misure necessarie per prevenire incidenti nucleari provocati da guasti o da calamità naturali, come è stato il caso della centrale nucleare giapponese di Fukushima un anno fa. Secondo gli esperti, i materiali nucleari risultano più sicuri se custoditi all’interno di installazioni militari, ma in ogni caso è indispensabile l’innalzamento degli standard di sicurezza per prevenire il verificarsi di incidenti a fronte di eventi naturali.
Ma ugualmente importante è la «nuclear security», ovvero la protezione di impianti e materiali nucleari da azioni dolose e ostili. «La minaccia rimane» – ha messo in guardia ancora il presidente Obama – «Ci sono ancora troppe persone in cerca di questi pericolosi materiali, che rimangono vulnerabili in troppi luoghi. Non ci vorrebbe molto, giusto una manciata di tali materiali, per uccidere centinaia di migliaia di innocenti». Costruire una bomba atomica non è facile, ma realizzare un ordigno anche vagamente simile a quello usato dagli americani su Hiroshima, dicono gli esperti, rientra nelle possibilità di gruppi terroristici ben attrezzati. 
In base a una classifica compilata dalla Nuclear Threat Initiative (NTI, un’associazione americana che si batte per la non-proliferazione nucleare) particolarmente a rischio sono Paesi come il Pakistan e l’India: il primo per il facile accesso al materiale nucleare da parte dei fondamentalisti islamici, il secondo per la corruttela tuttora esistente a livello politico. In quanto alla Russia, negli ultimi quindici anni Mosca ha aumentato la propria sicurezza, ma custodisce ancora la maggiore quantità di materiale nucleare che deriva dall’accumulo risalente ai tempi dell’Unione sovietica. Si tratta di rimanenze che incoraggiano il proliferare di un vero e proprio mercato nero, come quello in cui è stata trovata coinvolta una banda criminale moldava impegnata a vendere uranio arricchito ad acquirenti nordafricani. Si ha inoltre notizia di due gruppi terroristici, Al Qaeda e l’organizzazione giapponese Aum Shinrikyo, entrambi fortemente determinati a mettere le mani su armi nucleari.
Tutt’altro che sottovalutabili, infine, le sfide di cui sono protagonisti la Corea del Nord e l’Iran, per i quali si spera nella mediazione di Cina e Russia. Nonostante ogni appello, Pyongyang ha finora ribadito l’intenzione di attuare a metà aprile il test di un missile nucleare a lunga gittata. Il test è camuffato dal lancio di un satellite che, stando alla Corea del Nord, sarà adibito «allo studio di eventi meteorologici e di problematiche agricole». Ma i primi a non crederci sono Corea del Sud e Giappone, entrambi preoccupati del fatto che, se lanciato, il missile attraverserà i rispettivi territori. Pyongyang, che così facendo viola apertamente la Risoluzione 1874 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non sembra tuttavia sentire ragioni e proprio la questione del prossimo lancio ha congelato l’invio di aiuti alimentari che gli Stati Uniti avevano appena promesso ai norcoreani, in cambio della sospensione delle attività atomiche. 
Ugualmente sul banco o degli imputati è l’Iran, le cui rassicurazioni sul carattere pacifico del suo programma nucleare continuano a non convincere Washington e tanto meno Israele, che da mesi minaccia un attacco preventivo agli impianti iraniani sospettati di lavorare all’arma atomica.

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