Occupy from NYC to Chicago: Outraged Americans Raise Their Heads Again

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Occupy, da New York a Chicago

gli Indignati americani rialzano la testa

Mentre in Europa si accendevano le proteste del movimento spagnolo, la grande ondata anti-finanza del “99%”, lanciata dalla rivista canadese Adbusters, creava una rete di discussione e azione di piazza tuttora attiva in tutti gli Usa. Con qualche aiuto dallo star system e una potente occasione di visibilità politica nelle imminenti elezioni per la Casa Bianca.

NEW YORK – C’eravamo tanto indignati. Occupazioni & proteste in diretta mondiale. Marce & comizi. Slogan & canzoni. Da una parte all’altra dell’Oceano sembrava una festa mobile. Madrid chiama, New York risponde. Andata e ritorno con scalo a Vancouver. Dove gli ex ragazzacci della rivista anticapitalista canadese”Adbusters” 1 avevano colto la febbre spagnola degli Indignados e l’avevano rilanciata nel Nuovo Mondo. Con un occhio alla primavera araba di Tahrir Square. E soprattutto una nuova parola d’ordine che sarebbe risuonata in tutto il pianeta: Occupy Wall Street 2. E adesso?

Un anno dopo la rivolta di maggio il movimento s’interroga ancora senza risposte. Com’è finita? Il guru di “Adbusters”, Kalle Lasne, l’aveva previsto. E già a novembre, alla vigilia del blitz della polizia del sindaco Mike Bloomberg 3 che avrebbe definitivamente svuotato Zuccotti Park a New York, l’aveva buttata lì come una provocazione: dichiariamo guerra vinta e torniamocene tutti a casa. In fondo Occupy Wall Street i suoi risultati li aveva comunque ottenuti e in soli due mesi. L’occupazione se non di Wall Street quantomeno della piazza adiacente – chiamata per scherzo del destino proprio Liberty Square ma ribattezzata capitalisticamente Zuccotti in onore dell’immobiliarista

italoamericano padrone del quartiere – aveva riportato l’attenzione di tutto il mondo sulla crisi che tutti, almeno qui in America, dicevano finita a parole: ma si scontava, e si sconta ancora, sulla pelle dei disoccupati.

Com’è finita? Barbara Celis, giornalista e blogger del Pais, ha visto nascere il movimento nella sua Spagna e poi l’ha seguito qui nella New York dove vive. E inseguendo il filo rosso da una parte all’altra dell’Oceano traccia somiglianze e differenze tra Indignados e Occupynti. Il 15 M, dice, il movimento del 15 maggio spagnolo, era nato sponteneamente, poche decine accampati lì alla Puerta del Sol diventate improvvisamente massa proprio grazie all’azione della polizia che li voleva sgombrare – e invece richiamò migliaia di sostenitori. L’occupazione di New York invece è stata pianificata. E non solo dal lancio della parola d’ordine di “Adbusters”: ma proprio dai militanti spagnoli trapiantati qui nelle università di New York. Sono gli spagnoli del movimento d’America: professorini che tutti conoscono per nome, Fernando, Vicente, Angel, Begona, e che hanno lavorato per settimane al debutto di Occupy nelle riunioni infinite a Tompkins Square. Non solo. Spagnoli sono anche i ragazzi che organizzano il Livestream in rete qui a New York: un esperimento riuscitissimo a Madrid e così trapiantato negli Usa.

I due movimenti però si sono divisi da un pezzo. Gli Indignados si sono dispersi e declinati all’europea: un’occupazione qui, un’iniziativa antisfratto là. Malgrado lo sgombero newyorchese Occupy invece ha continuato a funzionare a intermittenza: anche grazie ai finanziamenti che come si sa qui in America sono tutto e hanno alimentato il movimento con le donazioni degli amici vip. Tutto quanto, anche la protesta, negli States fa spettacolo. E infatti a Liberty-Zuccotti sono sfilati da subito Michael Moore e Susan Sarandon, i Radiohead e Crosby & Nash, Jackson Brown, Rage Against the Machine. Ma anche intellettuali impegnati e curiosi come Slavoj Zizek e il nostro Roberto Saviano 4.

Com’è finita? Non è finita. Proprio in questi giorni il movimento è tornato a rialzare la testa. Non solo a New York dove i blitz del Primo maggio hanno fatto comunque capire che un altro botto è possibile. Già questo fine settimana a Chicago si terrà il People’s Summit 5, in preparazione della grande manifestazione convocata a Chicago per il 20 maggio, in coincidenza con il summit Nato che Obama – in previsione di probabili disordini – ha spostato dalla sua città a Camp David. E le tende degli Occupynti si sono spostate già in questi giorni ora in quel di Charlotte, North Carolina, per l’annuale assemblea degli azionisti di quei simpaticoni di Bank of America, uno dei colossi di Wall Street che con i suoi giochini sui mutui & derivati ha contribuito alla Grande Recessione e lasciato sfrattare migliaia di poveracci. Occhio: perché questa non è una dimostrazione one-shot. Sempre lì a Charlotte, a settembre, Barack Obama verrà celebrato nella convention del suo partito democratico. E i ragazzacci di Occupy hanno tutta l’intenzione di guastargli la festa per le sue promesse non mantenute.

Insomma c’eravamo tanto indignati. E ci indignamo ancora. Solo che l’unità d’intenti da una parte all’altra dell’Oceano non c’è più. La nostra povera Europa, con la Spagna in testa, arranca nella recessione che l’America s’è comunque lasciata alle spalle: e rischia di diventare una polveriera in cui gli ex Indignados potranno essere ricordati come gli agnellini del gruppo. Qui in America, invece, le proteste finiranno inevitabilmente per intrecciarsi alla campagna elettorale che a novembre rischia di defenestrare il primo presidente nero dalla Casa Bianca. Magari proprio grazie ai ragazzi che adesso cantano “noi siamo il 99 per cento”. Ma continuando a tenere alta l’onda della protesta faranno – temono i più smaliziati strateghi democratici – il gioco di tutte le destre – e soprattutto di Mister 1 per cento: l’ennesimo miliardario ridens, il candidato repubblicano Mitt Romney.

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